Il tema Pensioni oggi vivrà una giornata importante per la decisione della Corte Costituzionale sulla mini rivalutazione stabilita dal governo nel 2015, a seguito dell'illegittimità dichiarata dai giudici circa il blocco delle rivalutazioni nel biennio 2012-2015 degli assegni previdenziali superiori a 3 volte il trattamento minimo, ovvero 1.404 euro lordi. L'esecutivo a maggioranza Pd, governato allora dall'attuale segretario nazionale Matteo Renzi, aveva optato per un intervento complessivo da 2,8 miliardi di euro, a fronte dei 24 miliardi che lo Stato avrebbe dovuto sborsare qualora il dispositivo della Corte fosse stato recepito totalmente.
Mini rivalutazione, Corte Costituzionale al bivio
Due gli scenari ad oggi percorribili. Il primo prevede la bocciatura dei ricorsi presentati alla Corte Costituzionale, ipotesi data per certa dal portale Quotidiano.net, nell'approfondimento a cura della collega Claudia Marin. Dall'altra parte c'è la strada che porta ad un accoglimento totale dei ricorsi, accettazione che costringerebbe il governo ad aprire i cordoni delle casse dello Stato, per una spesa non inferiore ai 20 miliardi di euro. Qualora si concretizzasse la seconda ipotesi, tutto sarebbe messo nuovamente in discussione.
La decisione dei giudici costituzionali due anni fa aveva fatto tremare il governo, bocciando il blocco della rivalutazione.
Stroncatura a cui l'esecutivo aveva risposto con un accoglimento parziale, da qui il nome "mini rivalutazione". Come conseguenza diretta della scelta presa dalla politica, sono fioccati in questi ultimi due anni i ricorsi, su cui la Corte è chiamata oggi a prendere un'ulteriore scelta. L'eventuale disco verde dei giudici alle persone che hanno presentato ricorso aprirebbe scenari complicati anche soltanto a pensarli.
Come aveva risposto il governo due anni fa
La rivalutazione delle pensioni era stata riconosciuta al 100 per cento esclusivamente per chi percepiva un assegno fino a tre volte il trattamento minimo. Per gli assegni previdenziali di importo superiore era stato utilizzato un meccanismo a scalare, decrescente. Alcuni pensionati ad esempio rimasero totalmente fuori dal provvedimento, come quelli che percepivano un assegno 6 volte superiore al trattamento minimo, nonostante la Corte Costituzionale avesse dichiarato illegittimo il blocco della rivalutazione.
I meno svantaggiati furono coloro che percepivano assegni compresi nella fascia fra 3 e 4 volte il minimo consentito, che ottennero una restituzione pari al 40 per cento. In media però, l'esecutivo restituì soltanto il 21 per cento di quanto realmente sarebbe spettato ai pensionati. Seguono aggiornamenti.