Laurea triennale, laurea magistrale, scuola di specializzazione, dottorato, master, corsi regionali finanziati dall’Unione Europea, abilitazioni per guida turistica rilasciate senza criteri omogenei. Ma nulla sembra mai bastare. La protesta del popolo professionisti dei Beni Culturali si fa sempre più crescente e la possibilità di unione e confronto favorita dallo sviluppo della comunicazione globale, ha reso sempre più compatto questo squadrone di invisibile e preparata forza lavoro.

Una delle forme più concrete di questa ondata di malcontento, dal 2015 ha un nome ben preciso, accattivante e forse un pizzico polemico: “Mi riconosci?

Sono un professionista dei Beni Culturali”. Un vero e proprio movimento che ha racchiude almeno 18.000 persone, quelle che hanno deciso di seguirle via Facebook, per dare voce a tutti coloro che, magari, ancora non ne sono a conoscenza pur vivendo lo stesso identico disagio.

Favorito il volontariato

“Colpa” di questi professionisti o aspiranti tali, è stata quella di aver seguito i propri sogni e le proprie aspirazioni, sentendosi forti grazie a un paese capace di offrire tantissimo nel settore dell’arte e della cultura in generale, e scontrandosi contro coloro che cercavano anche in modo poco ortodosso di sminuire i loro sforzi. Trovandosi infine davanti a alla realtà di uno stato che non favorisce lo sviluppo dell’industria culturale preferendo, fatte salve le recenti assunzioni per posti statali di alta responsabilità, tirocini (o stage che dir si voglia), contratti a progetto, voucher, ma soprattutto il volontariato; metodo legalizzato per poter utilizzare gratuitamente forza lavoro e che spesso si traduce in personale volenteroso ma incompetente, che neanche si rende conto del danno che può fare a chi del mondo della cultura avrebbe voluto farne la propria professione.

Senza tralasciare anche un possibile abbassamento dello standard qualitativo.

Il volontariato è stata una delle prime battaglie, ancora in corso tra l’altro, degli attivisti di “Mi riconosci?” ma un nuovo avvenimento ha scatenato le ire e ha rinforzato l’ondata di protesta dei professionisti dei beni culturali. Si tratta dell’avvio della scuola del patrimonio, costosissima (a quanto pare) nuova creatura del MiBACT presieduto da dario franceschini in sinergia col Miur.

Basta Formazione

20 posti, un bando di ammissione, limiti di età discriminanti, è questo il sunto prodotto da movimento dei professionisti culturali. Un ennesimo biennio condito da un anno di formazione sul campo dai termini poco chiari, tipo la retribuzione. Un ennesimo titolo, post dottorato per giunta. Una specializzazione nella specializzazione che non va giù a chi si occupa o vorrebbe occuparsi del settore.

Anche perché c’è chi può trovare tranquillamente lavoro con una laurea triennale.

Una serie di iniziative dunque, per protestare contro una scuola che effettivamente non sembrava necessaria. Un’azione coordinata denominata “Boicottiamo la scuola del patrimonio! Insieme!”, che è partita da un evento su facebook. La prima azione è stata quella di pubblicare stralci di titoli ed esperienze del proprio CV accompagnandolo all’Hashtag #nonsonoabbastanza. L’idea sarebbe quella di pubblicarli sul profili social del ministro e del ministero.

La speranza, è che il prossimo governo elimini immediatamente questa scuola, e possibilmente dia maggiore attenzione alla cultura e ai suoi lavoratori. Come previsto dall’articolo 9 della Costituzione.