Il sistema previdenziale nel 2019 si doterà di alcune nuove misure che l’attuale esecutivo sta per varare. Quota 100 e opzione donna sono le due nuove misure (una nuova di zecca e l’altra già sperimentata in passato) che rappresentano il piatto forte in materia previdenziale tra i provvedimenti del governo in vista del nuovo anno. Come fuoriesce da un articolo eloquente del quotidiano “Il Sole 24 Ore”, pur se interessanti, i due nuovi strumenti presentano controindicazioni strutturali. Il taglio di assegno che i pensionati dovranno mettere in conto sia con quota 100 (per via del minor numero di contributi versati) che con opzione donna (per via del ricalcolo contributivo degli assegni, insieme al fatto che entrambe le misure prevedono una età minima di uscita, sono problematiche che rendono questi strumenti non adatti ai precoci ed i genere a chi ha carriere lunghe e durature iniziate da giovani.
Il superamento della legge Fornero, come largamente pubblicizzato da Lega e M5S, probabilmente verrà aiutato da queste misure, ma le regole previdenziali provenienti dal governo Monti resteranno tutte attive anche nel 2019. In pratica, il sistema si doterà di due nuove misure previdenziali, che si affiancheranno a quelle già esistenti, alcune delle quali resteranno con gli stessi requisiti di oggi ed altre che verranno influenzate dall’aspettativa di vita. Per lavoratori piuttosto giovani di età, che hanno già cospicui anni di contributi versati, quota 100 servirà a poco, essendo necessario raggiungere l’età di 62 anni. Nel 2019 per costoro resteranno attive la pensione anticipata e quota 41.
Ecco cosa cambierà per queste due misure appannaggio di precoci ma non solo.
Pensione anticipata e aspettativa di vita
Per la pensione anticipata, che altro non è che la vecchia pensione di anzianità, il requisito fondamentale è quello contributivo. Servono 42 anni e 10 mesi di contributi fino al 31 dicembre 2018, mentre dal primo gennaio successivo, per via del collegamento delle Pensioni all’aspettativa di vita, saranno necessari 43 anni e 3 mesi.
Sono 5 mesi in più, alla stregua della pensione di vecchiaia che sempre dal prossimo anno passerà a 67 anni. Su questo aumento del requisito contributivo sembra esserci però la volontà del governo di congelarlo, almeno per quanto riguarda la pensione anticipata. Se davvero l’intenzione dell’esecutivo diventerà realtà, anche nel 2019 (ma dovrebbe essere un blocco fino al 2023) la pensione anticipata si centrerà con 42 anni e 10 mesi di contributi.
Un aspetto importante di questa misura è quello relativo alla differenza di genere, con le donne che possono accedere alla pensione con un anno in meno di contributi rispetto ai colleghi maschi, cioè con 41 anni e 10 mesi di lavoro con copertura previdenziale (o 42 anni e 10 mesi se venisse applicato lo scatto per la stima di vita).
Quota 41
La quota 41 invece è la misura nata con il governo Gentiloni e destinata ai lavoratori precoci, anche se non a tutti. Come dice il nome stesso dello strumento, si può andare in pensione con 41 anni di contributi versati, ma dal 2019 ne serviranno 41 e 5 mesi. Oltre a quello contributivo, un requisito richiesto per questa misura è quello di aver versato, dei 41 anni e 5 mesi di contributi richiesti, almeno un anno prima del diciannovesimo anno di età, anche se discontinuo.
La quota 41, rispetto alla pensione anticipata di cui trattavamo sopra, non riguarda la generalità dei lavoratori, ma come spiega il Sole 24 Ore, bisogna essere alternativamente:
- disoccupati che hanno fruito di tutta la Naspi e da 3 mesi sono senza reddito;
- invalidi con disabilità certificata al 74%;
- soggetti con invalidi a carico (caregivers), sempre con il 74% di disabilità;
- essere alle prese con un lavoro gravoso svolto in 6 degli ultimi 7 anni o in 7 degli ultimi 10