In materia previdenziale adesso finisce all’attenzione dell’opinione pubblica la pensione ai superstiti, la cosiddetta pensione di reversibilità. Si tratta della prestazione previdenziale garantita, in linea di massima, al coniuge di un pensionato passato a miglior vita che rispetti determinate condizioni. In molti casi la reversibilità spetta anche ai figli o a famiglie con determinate situazioni di disagio dal punto di vista della salute o del numero dei suoi componenti. In base al nostro Prodotto Interno Lordo (PIL), secondo l’l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’Italia è il Paese che più spende per questa particolare prestazione.

L’Ocse chiede interventi normativi atti a rendere meno esoso l’impatto di questa misura sui conti pubblici nostrani, con correzioni che oggi appaiono molto drastiche.

La pensione di reversibilità in sintesi

Vediamo adesso come funziona la pensione di reversibilità. La pensione ai superstiti, chiamata comunemente pensione di reversibilità, è una misura che prevede il passaggio dal coniuge defunto a quello ancora in vita che non lavora, del 60% della pensione. La misura viene erogata anche a figli minorenni o a studenti universitari fino all’età di 26 anni. La percentuale però non è uguale per tutti, perché dipende anche dalle condizioni dei superstiti. Il 60% della pensione viene erogato in misura ridotta è rapportata al reddito del soggetto beneficiario, prendendo come base di riferimento la pensione minima.

In casi particolari, come la famiglia composta da un coniuge superstite non lavoratore e due o più figli a carico di quest’ultimo, l’assegno di reversibilità è erogato sempre per intero.

Gli appunti dell’Ocse

Oltre ai numeri che collocano l’Italia al primo posto come spesa per le Pensioni ai superstiti, ci sarebbe da fare i conti con altre dinamiche.

Sempre secondo l’Ocse, la necessità di intervenire per cambiare le attuali regole di assegnazione di questa misura tra il previdenziale e l’assistenziale sta anche nel fatto che, così come funziona oggi, la misura avvantaggia troppo la coppia penalizzando i singoli. Inoltre, una pensione di questo genere, spesso erogata a soggetti piuttosto giovani, disincentiva il lavoro.

Ci sarebbe poi da fare i conti con alcune dinamiche della vita di tutti i giorni che sono cambiate radicalmente rispetto ai tempi in cui fu varata la pensione ai superstiti. Mogli casalinghe, per esempio, sono diventate una rarità e pertanto, in molti casi questo strumento non avrebbe motivo di essere utilizzato ed assegnato. Per cercare di riportare l’Italia sui corretti binari, visto che le stime parlano di una proporzione rispetto al PIL di circa il 2,5% (negli altri Stati in media questo dato si assesta all’1%), il suggerimento dell’Ocse sarebbe quello di erogare questa prestazione solo a coniugi che hanno raggiunto l’età pensionabile. Anche se nella relazione dell’Ocse si parla di età pensionabile in maniera generica, stando alle nostre regole in vigore dal prossimo 1° gennaio, in assenza di problematiche particolari come i figli a carico o le situazioni di disabilità, la pensione ai superstiti toccherebbe solo al coniuge che ha raggiunto i 67 anni di età.