I dati in mano all’esecutivo per quanto riguarda l’operazione quota 100 sono ormai risaputi, con una platea di soggetti a cui sarà destinata la misura nel 2019 pari a circa 350mila lavoratori. Di questi, circa 160mila sarebbero lavoratori del pubblico impiego, i cosiddetti statali. I numeri sono potenziali, perché grazie a disincentivi, paletti e vincoli, l’esecutivo conta di ridurre il numero di soggetti a cui dare nuove Pensioni con questa quota 100. Tra quelli che vengono considerati disincentivi a scegliere l’uscita anticipata con il nuovo canale per le pensione c’è sicuramente l’ipotesi di differire ancora più di quanto già oggi accade, l’erogazione della liquidazione per i lavoratori statali.

Il Tfs, acronimo di Trattamento di Fine Servizio, cioè la buonuscita o TFR dei lavoratori pubblici, potrebbe essere posticipato di 3 anni rispetto alla data di uscita con la quota 100.

Il tutto per detonare il pericolo di esodo da parte di questa particolare categoria di lavoratori, perché ai dipendenti già in procinto di uscire con le regole Fornero, se ne aggiungerebbero molti altri grazie al nuovo canale per quotisti, ingessando la macchina operativa della Pubblica Amministrazione, con effetti negativi per i cittadini.

Quota 100 e buonuscita

Secondo il quotidiano “Il Sole 24 Ore”, per gli statali la pensione con quota 100 rischia di essere poco appetibile. Il decreto su questa importante misura dovrebbe uscire tra il 10 ed il 12 gennaio, ma sempre dalle righe dell’articolo del noto quotidiano economico finanziario, lo “scheletro” del provvedimento è bello e pronto, con molte limature rispetto all’originale.

Per gli statali la prima finestra utile di uscita potrebbe essere ottobre 2019, cioè 6 mesi dopo la prima apertura per i lavoratori del settore privato fissata a d aprile. Come funzionerà quota 100 è altrettanto risaputo, con la pensione che si percepisce con almeno 62 anni di età e con almeno 38 anni di contribuzione previdenziale versata.

L’anticipo, per via della decorrenza, per i lavoratori dello Stato che hanno già completato il doppio requisito quest’anno, si riduce di 6 mesi e questo può essere già un fattore deterrente alla scelta da parte di questi lavoratori. Tra le ipotesi molto probabili, sempre secondo il Sole 24 Ore ci sarebbe il nodo del Tfs che sarebbe erogato ai lavoratori dopo 36 mesi dal pensionamento con la nuova misura.

Per un lavoratore di 62 anni, quanto spettante di liquidazione potrebbe essere incassato solo a 65 anni.

Cosa altro bolle in pentola

Una recente ipotesi che adesso sembra accantonata per via di alcuni appunti mossi dalla Ragioneria Generale dello Stato è il prestito bancario ad interessi zero per anticipare la liquidazione da parte dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. I lavoratori avrebbero potuto ricorrere a questo anticipo sotto forma di finanziamento bancario che poi sarebbe stato rimborsato alle banche da parte dello Stato. Nulla di fatto e pertanto, resta in pista l’ipotesi di cui parlavamo prima, con l’ennesimo differimento del Tfs. Infatti già oggi per i lavoratori pubblici la buonuscita è pagata a rate con la prima tra i 12 ed i 27 mesi dopo il collocamento a riposo e la conseguente pensione.

Nello specifico, la liquidazione è pagata in massimo 3 rate, con importi massimi pari a 50mila euro e con non più di una rata per anno. Per le pensioni spettati a 62 anni a chi rientra nel sistema di calcolo interamente contributivo, con il primo versamento effettuato dopo il 1995, la soglia minima di pensione resterà pari a 2,8 il minimo. Tramonta l’ipotesi di ridurre il tetto a 2 volte il trattamento minimo che avrebbe allargato il campo dei potenziali destinatari della pensione anticipata contributiva. Nel decreto sulle pensioni di metà gennaio potrebbe entrare un provvedimento per il massimale contributivo, cioè il limite massimo della retribuzione assoggettabile a contribuzione che fino al prossimo 31 dicembre è fissato a 101.427 euro.