Lunedì 25 febbraio alle ore 10, i sindacati sono stati convocati dal Governo per affrontare l’argomento previdenziale. La fase è di quelle importanti, perché notizia di oggi, sembra che la Commissione Lavoro del Senato abbia dato il via libera al decreto che contiene reddito di cittadinanza e quota 100, le due principali novità dell’esecutivo per il 2019. Da tempo le parti sociali rivendicavano il diritto di esporre al tavolo delle riforma i loro punti di vista e le loro proposte. A dimostrazione che la manifestazione del 9 febbraio da parte dei sindacati, svoltasi in maniera unitaria con tutte e tre le sigle della Triplice (Cgil, Cisl e Uil) non era un caso isolato, in vista dell’incontro di lunedì le proposte e le critiche al pacchetto pensioni del governo sembrano essere comuni a tutti.

La quota 100 non basta

Quota 100 permetterà di andare in pensione a partire da 62 anni di età una volta raggiunti i 38 anni di contributi previdenziali versati. La misura anche se il decreto deve ancora completare l’iter è a tutti gli effetti partita, con oltre 60mila soggetti che hanno già presentato domanda di verifica del diritto alla pensione. Tra l’altro, sia esponenti del governo che rappresentanti dell’Inps continuano a sostenere come i tempi tecnici di avvio della misura, nonostante il ritardo della conversione in legge del decreto verranno rispettati. Il direttore generale dell’Inps, Gabriella Di Michele per esempio ha confermato come l’Istituto sarà pronto ad erogare i primi assegni in regime di quota 100 come da previsioni già il 1° aprile.

In vista del summit che si terrà al Ministero del Lavoro, i rappresentanti dei lavoratori potranno sostenere cosa manca ancora al sistema, perché evidentemente, la quota 100 secondo loro non basta. Infatti la misura come sottolineano i sindacati è si una opportunità importante per molti lavoratori che potranno sfruttarla nel prossimo triennio per accedere anticipatamente alla pensione.

È altrettanto vero però che la misura così come varata, taglia fuori dall’anticipo molti lavoratori, soprattutto tra le donne e tra chi svolge tipologie di lavoro che come natura producono difficilmente periodi di occupazione coperti da contributi di lunga e continua durata. Gli esempi sono sempre gli stessi, cioè i lavoratori stagionali del settore alberghiero e turistico, i lavoratori del settore commercio, quelli impegnati nell’agricoltura e quelli in opera nel settore edile.

Confronto costruttivo e richieste precise

I tre sindacati invitati al tavolo di lavoro si sono detti soddisfatti della convocazione ricevuta perché finalmente si potrà avviare un confronto costruttivo in materia previdenziale, cosa che è mancata durante le settimane in cui fu partorita la quota 100. Nonostante le novità del governo infatti, secondo le parti sociali manca ancora tanto in tema Pensioni. Numerose sono le richieste che i sindacati presenteranno. Tutto l’impianto attuale secondo loro, va corretto nell’indirizzo della flessibilità in uscita, differenziando una volta per tutte l’assistenza dalla previdenza. Troppe misure varate negli ultimi anni, anche se nate come misure previdenziali avevano i connotati marchiati di assistenzialismo.

Basti pensare all’Ape sociale ed a quota 41 per precoci, misure destinate solo a soggetti in particolari e disagiate condizioni reddituali, lavorative o di stato di salute. I sindacati, che si sono detti fiduciosi del fatto che il summit sia un primo passo verso l’apertura di un vero e proprio tavolo di trattativa, chiederanno lunedì, in primo luogo la creazione di una commissione tecnico-scientifica capace di individuare altre categorie di attività da considerare come lavori gravosi o usuranti.

Inoltre ci sarà da riaprire alcuni passaggi importanti dei vecchi incontri con i governi precedenti quello giallo-verde. Si deve riprendere il discorso interrotto dei giovani e della pensione di garanzia, la salvaguardia degli ultimi esodati e potenziare l’importanza dei lavori di cura in termini previdenziali.