Per proseguire con i lavori relativi al decreto sulle pensioni e sul reddito di cittadinanza è stato necessario convocare un vertice di maggioranza. Il cosiddetto decretone che è in Senato come iter vuole per la valutazione degli emendamenti, da giorni vive in una situazione di stallo. Con le misure previste la cui data di partenza si avvicina sempre di più (per esempio, le domande per il reddito di cittadinanza partiranno il 6 marzo), la maggioranza si è riunita ieri per cercare una quadratura sulle limature delle misure e sugli emendamenti che Lega e M5S hanno presentato.

Nel summit durato un’oretta, uno dei principali argomenti è stato il reddito di cittadinanza, una misura molto a cuore al Movimento 5 Stelle e sulla quale gli emendamenti a sua correzione continuano ad essere tanti. Le posizioni su questo strumento sono chiare, con la Lega che cerca da tempo di detonarne l’impatto con vincoli e paletti precisi e con il M5S che spinge per renderlo quanto più possibile in linea con il suo principale obbiettivo, la lotta e il contrasto al disagio e alla povertà. Tra le tante proposte, dalla lotta ai finti divorzi o a i cambi di residenza per finire agli incentivi per le imprese che assumono persone provenienti dal reddito di cittadinanza, una proposta che sta facendo discutere riguarda il lavoro domestico ed i soggetti del comparto, cioè badanti, colf e famiglie che assumono.

Reddito di cittadinanza e lavoro

L’impianto della misura è rimasto inalterato perché nel summit di ieri non è cambiato nulla per quanto riguarda l’erogazione del sussidio anche a cittadini stranieri. Nonostante il pressing della Lega che voleva correggere il tiro del provvedimento rendendo più arduo concederlo ai cittadini non propriamente italiani, il reddito di cittadinanza resta appannaggio di stranieri che hanno da almeno 10 anni la residenza in Italia.

La misura oltre ad erogare il famoso benefit economico sulla card, prevede un programma di riqualificazione e ricerca costante del lavoro. Al fruitore del reddito di cittadinanza, durante i 18 mesi previsti, insieme ai lavori di pubblica utilità e ai corsi di riqualificazione e nuova formazione che i tutor imposteranno, dovrebbero essere proposte almeno tre occasioni di lavoro.

In caso di assunzione del beneficiario del RDC da parte delle aziende, l'incentivo passerà all'impresa che assume. In pratica, l’importo del sussidio che avrebbe dovuto continuare a percepire il beneficiario se non avesse trovato lavoro, passerà nelle casse dell’azienda sotto sforma di sgravi fiscali o contributivi. Questo uno degli elementi cardine della misura che mira a rendere più facile l’incrocio tra domanda ed offerta di lavoro.

Incentivi alle imprese, ma non alle famiglie

Una proposta del M5S chiedeva l’estensione di questo beneficio fiscale anche alle famiglie, che nel lavoro domestico rappresentano il più delle volte il datore di lavoro della badante piuttosto che della colf o della baby sitter.

Niente da fare però, perché l’emendamento è stato cestinato per problemi di coperture economiche. Gli incentivi alle imprese che assumono lavoratori provenienti dal programma reddito di cittadinanza non saranno fruibili nel lavoro domestico. La commissione Bilancio di Palazzo Madama ha detto no escludendo il lavoro domestico da questi incentivi.

Assindatcolf non ci sta

Estendere anche alle famiglie datrici di lavoro domestico gli sgravi previsti all’art. 8 del decreto sul reddito di cittadinanza è sempre stata una priorità per Assindatcolf, l'associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, che il 4 febbraio scorso ne ha ribadito l’importanza anche in Senato, durante le audizioni. Una memoria relativa a queste richieste è stata pubblicata sul sito web di Palazzo Madama, ma ieri la proposta non ha avuto il via libera.

Una forma di discriminazione di categoria, questo è quanto emerge secondo i sindacati di settore, dopo il no all’emendamento. "Inaccettabile" è l’aggettivo usato da Assindatcolf secondo quanto riportato da la Repubblica: l'associazione ritiene che il problema delle coperture sia solo di facciata perché nasconde l’ennesima ingiustizia rivolta al settore, che invece avrebbe potuto fare da traino alla riuscita dell’intera operazione reddito di cittadinanza. Un settore che è tra quelli in cui la richiesta di manodopera è elevata e dove il costo del lavoro è spesso insostenibile per le famiglie.