La Corte di Cassazione, recentemente, è tornata ad occuparsi delle varie fattispecie che integrano l'evento del licenziamento. Nello specifico, il Supremo Collegio nella Sentenza n° 23583/2019 della Sezione lavoro, ha statuito che il lavoratore licenziato a seguito di una lunga malattia ha subito un provvedimento eccessivo che integra gli estremi della rappresaglia e della ritorsione da parte del datore di lavoro tale che il licenziamento stesso deve essere considerato radicalmente nullo

I fatti che hanno portato alla pronuncia della Corte

La Suprema Corte di Cassazione si è trovata di fronte al ricorso presentato da una Srl contro la decisione della Corte d'Appello di Firenze che aveva accolto il ricorso del lavoratore licenziato.

La Corte d'Appello, infatti, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento dell'uomo in quanto sarebbe stato intimato solo per ritorsione da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore stesso. Di conseguenza, la Srl era stata condannata al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore ingiustamente licenziato versando a suo favore tutti gli emolumenti non corrisposti dal giorno del licenziamento stesso, opportunamente rivalutati in base all'indice Istat. Oltre, ovviamente, al reintegro del lavoratore stesso nel suo posto di lavoro come operaio specializzato, in base a quanto disposto dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. L'uomo, infatti, era stato assente dal lavoro a causa di una grave malattia per circa 7 mesi.

E al suo rientro aveva ricevuto comunicazione del licenziamento, motivato da un riorganizzazione aziendale che determinava la chiusura del suo reparto produttivo con impossibilità per l'azienda di ricollocare in altra mansione il personale in eccesso.

D'altra parte, nel corso del giudizio di appello era stato dimostrato che la motivazione addotta dalla Srl, cioè la ristrutturazione aziendale era da ritenersi solo una mera riduzione delle mansioni dei dipendenti, tanto più che era stato mantenuto in servizio un lavoratore meno qualificato del ricorrente stesso ed era stata assunta una nuova dipendente, formalmente come segretaria ma, di fatto, con mansioni da operaia.

Di conseguenza, la Corte territoriale considerava il licenziamento illegittimo e avente i caratteri della rappresaglia o ritorsione accogliendo le richieste del lavoratore. Per tali motivi la Srl proponeva ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte d'Appello.

I motivi della decisione della Cassazione

La Srl ricorrente aveva presentato ricorso basandolo su quattro diversi motivi.

In primo luogo, la società ricorrente ha sollevato la questione di omessa pronuncia sulla questione dell'inammissibilità del reclamo. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che non sia stata fornita la prova del motivo ritorsivo come fondamento del licenziamento stesso. In terzo luogo, la Srl chiedeva di censurare la sentenza nella parte in cui ha ritenuto il motivo della ristrutturazione aziendale inidoneo e insussistente come base del licenziamento del dipendente, mancando quindi il motivo oggettivo del licenziamento. In fine, in base al disposto degli articoli 2697 e 2729 del Codice Civile, la ricorrente sosteneva che la ritorsione non poteva essere semplicemente presunta dal fatto della mancanza del motivo sopra detto.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla Srl. Infatti, innanzitutto, il Supremo Collegio ha richiamato un orientamento consolidato della stessa Corte di Cassazione, in base al quale il vizio di omessa pronuncia non ricorre, anche in caso di mancata decisione su un punto specifico, quando dalla statuizione adottata si deduca un motivo di rigetto del medesimo punto.

Per quanto riguarda, più nel dettaglio, il carattere ritorsivo del licenziamento, la Corte di Cassazione ha evidenziato come l'onere della prova ricada direttamente sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi chiari e specifici tali da far ritenere determinante e risolutivo con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia da parte del datore di lavoro.

La corte continua nel suo ragionamento sostenendo che il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, costituendo di fatto l'unica ed effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo indicato ufficialmente dal datore di lavoro, in questo caso la ristrutturazione aziendale. Nel momento in cui il giudice di merito, evidenzia la Corte, ha riscontrato la presenza di questi elementi e, quindi, la mancanza del motivo oggettivo da parte del datore di lavoro, ha applicato la massima tutela garantita dall'articolo 18, primo comma, della Legge 300/70, cosi da Statuto dei Lavoratori. Per la Corte di Cassazione la Corte di Appello di Firenze, da questo punto di vista, ha operato correttamente escludendo in primo luogo la sussistenza del motivo oggettivo da parte del datore di lavoro.

Successivamente ha collegato fra loro i vari elementi indiziari, valutando complessivamente la vicenda, e giungendo alla corretta conclusione che il licenziamento era direttamente e causalmente collegato alla prolungata assenza per malattia del lavoratore.

Per inciso, la Corte di Cassazione precisa che nonostante il licenziamento illegittimo ed il licenziamento ritorsivo siano fattispecie giuridicamente distinte, il giudice di merito può benissimo , a fini di determinare la ritorsività del comportamento del datore di lavoro, valorizzare tutto il complesso degli elementi acquisiti in sede di giudizio, compresi quelli utilizzati per escludere la presenza del motivo oggettivo. L'importante è che tali elementi, da soli o nel loro complesso, siano idonei e utili a ritenere raggiunta la prova, anche mediante presunzioni, del carattere ritorsivo del licenziamento. Per tali motivi, il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e confermato la sentenza della Corte d'Appello in favore del lavoratore.