Le ipotesi di riforma delle Pensioni anticipate con Quota 100 passano da un solo unico coro: maggiore flessibilità in uscita. Andare in pensione qualche anno prima, rispetto alle pensioni a Quota 100 che hanno beneficiato di importanti risorse del bilancio statale, potrebbe significare dover pagare di tasca propria, con una riduzione dell'assegno mensile. Percentuali che, come per l'Opzione donna, sarebbero di un minimo del 15 per cento per arrivare anche a circa un terzo dell'assegno pensionistico. All'ipotesi elaborata qualche giorno fa dal quotidiano Il Foglio di una pensione anticipata che sostituisse la Quota 100 ma con un ricalcolo in senso contributivo dei versamenti effettuati, si affianca quella di Stefano Sacchi, presidente dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp) che individua le possibilità di riforma delle pensioni con nuove soluzioni di flessibilità.

Pensioni anticipate Quota 100: ultime novità oggi su uscita dal 2022

Per Sacchi le pensioni anticipate a Quota 100 sono state una misura sbagliata, ma è consigliabile attenderne il termine naturale a fine 2021. Abolire prima della scadenza Quota 100, infatti, significherebbe creare instabilità e incertezze al sistema previdenziale, creando dai 60 ai 70 mila nuovi esodati, lavoratori che nel frattempo hanno stabilito accordi con le aziende proprio per agganciare il pensionamento anticipato della Quota 100. "Creare nuovamente categorie di esodati come successe con il buco della riforma Fornero - spiega Sacchi al Corriere della Sera - significherebbe andare incontro a nuovi emendamenti con il risultato di incrementare ulteriormente i senza lavoro e i senza pensione, arrivando perfino a raddoppiare quei 70 mila esodati".

In tal senso, la riforma Fornero dovrebbe insegnare: dai 65 mila esodati iniziali si passò ai 170 dell'ottava legge di Salvaguardia.

Pensione anticipata: proposta uscita con tre anni di anticipo per il post Quota 100

Dunque, il post pensioni anticipate con Quota 100 si chiama flessibilità. È necessario ammortizzare lo scalone che arriverà dal 1° gennaio 2022 e che impedirà a decine di migliaia di lavoratori di andare in pensione se non a partire dal 2027 con la pensione di vecchiaia oppure, anno più anno meno, con la pensione anticipata a 42 anni e dieci mesi.

La strada migliore, nel concreto della proposta di Sacchi, è ripristinare i punti di flessibilità tolti dalla riforma Fornero, dando la possibilità ai lavoratori che ricadano nel sistema misto di andare in pensione con tre anni di anticipo purché la pensione futura che si percepirà sia di almeno 2,8 volte superiore all'assegno sociale.

Si parla, dunque, di pensioni di almeno 1.280 euro mensili, lo stesso requisito richiesto attualmente per le pensioni anticipate contributive con uscita a 64 anni. Tuttavia, l'anticipo di tre anni comporterebbe delle notevoli spese per le casse statali: ecco, dunque, che la flessibilità sarebbe "a pagamento": chi va via da lavoro prima dovrebbe perdere circa il 15 per cento dell'assegno di pensione, con un aiuto dello Stato che potrebbe essere contenuto nei due miliardi di euro.

Riforma pensioni: Quota 100 per il sistema misto dal 2020, equità con Opzione donna

L'idea, dunque, di una flessibilità in uscita per andare in pensione anticipata e sostituire la Quota 100 mira ad un sacrificio del lavoratore sulla sua futura pensione.

L'ipotesi, come quella apparsa su Il Foglio, poggia su un principio di equità rispetto ad altre misure di pensione anticipata. La stessa Opzione donna, infatti, permette alle lavoratrici di anticipare l'uscita a prima dei sessant'anni con 35 anni di contributi, ma di dover rinunciare ad una parte dell'assegno per via del ricalcolo contributivo. Il post Quota 100, già a partire dal 2020, riguarderà principalmente i lavoratori che ricadono nel sistema contributivo misto. Già Alberto Brambilla, uno dei padri della Quota 100, qualche settimana fa anticipava che nel 2020 le uscite della misura saranno più contenute (intorno alle 50 mila) proprio perché i meccanismi previdenziali metteranno di fronte i lavoratori del sistema misto (e non dell'interamente retributivo) ad una scelta, e cioè quella di rinunciare a una parte dell'assegno di pensione per il naturale ricalcolo di parte della propria pensione con il sistema contributivo.