Per la serie BlastingTalks, intervistiamo Lelio Borgherese, presidente di Network Contacts, azienda che rappresenta uno dei principali player italiani del settore BPO (che racchiude le aziende specializzate a cui altre imprese affidano la gestione dei propri processi, esternalizzando così funzioni necessarie ma non inerenti al proprio core business). Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di Coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Per il vostro modello di business, l’innovazione è fondamentale: come si concretizza questa ricerca nella vostra operatività quotidiana e nel vostro modo di fare impresa?

Cerchiamo di orientare l’innovazione affinché sia concretamente utile a migliorare la qualità del lavoro e la qualità dei servizi. Diamo ai nostri consulenti strumenti automatici per svolgere le attività più semplici e ripetitive. Possono essere automi intelligenti capaci di riconoscere il linguaggio naturale scritto e parlato e attivare altri processi conseguenti, oppure RPA, automi che rendono più efficace e più efficiente lo svolgimento di specifici task all’interno di processi complessi.

I nostri operatori così guadagnano tempo libero che possono dedicare ad attività più complesse di assistenza ai clienti o alla propria formazione.

Può spiegare questo processo attraverso un esempio concreto?

Le racconto un dato che di solito non mettiamo in evidenza, ma aiuta a capire che valore ha per un’azienda investire in innovazione e formazione continua: più del 90% dei nostri manager ha cominciato a lavorare con noi dal gradino più basso.

Oggi prendono decisioni vitali per l’azienda con le competenze acquisite nel tempo, con la conoscenza profonda di tutta l’organizzazione e con un senso di attaccamento senza il quale avremmo avuto molte più difficoltà ad abbracciare modelli di lavoro agile, basati sulla fiducia e la responsabilizzazione delle persone.

Avete puntato anche all'innovazione nei servizi, con quali riscontri?

Società data driven come quelle che stiamo costruendo hanno bisogno continuo di nuovi modi di interagire mentre l’adozione di nuove tecnologie comporta esigenze che i servizi tradizionali non riescono a soddisfare. Ma anche i cambiamenti non connessi all’avanzamento tecnologico – come la recente pandemia – sono così veloci che bruciano il tempo necessario a riprogettare e aggiornare i servizi erogati in modo tradizionale.

Dal punto di vista della qualità di vita dei lavoratori come si è tradotto tutto ciò?

Gli esempi di innovazione di cui le ho parlato raggiungono due risultati: fanno risparmiare tempo alle persone e risolvono problemi precisi. Quando procedi libero da inciampi, in modo frictionless, e guadagni tempo, acquisti un “capitale di positività”: sei più veloce, più produttivo, più soddisfatto, più sicuro; ti senti in un contesto favorevole, che funziona, e raggiungere gli obiettivi diventa più facile.

Ovviamente non dimentichiamo che operiamo in un ecosistema fatto di relazioni reali e digitali che ha trasformato il nostro modo di essere comunità; per questo, e rispondo così all’ultima domanda, il Community Care inspira il modo di fare impresa di Network Contacts.

La spinta verso l’innovazione si è tradotta recentemente anche in collaborazioni di natura istituzionale: attraverso quali progetti?

Network Contacts è una delle pochissime aziende private di medie dimensioni che ha vinto il bando dei Grandi Progetti in R&S del PON con il progetto Big 4 M.A.S.S. Abbiamo una quarantina di ingegneri, matematici, linguisti computazionali (anche in questo caso, molti di loro erano nostri consulenti telefonici in origine) che in collaborazione con Università e Centri di Ricerca stanno realizzando architetture ibride in cui automi intelligenti cooperano tra di loro e con gli operatori umani.

Inoltre, grazie anche al sostegno e alla guida di Puglia Sviluppo siamo capofila in un altro importante progetto di ricerca sull’analisi dei Big Data. Recentemente il ministro dell’Economia e delle Finanze, On. Roberto Gualtieri, ha scelto di visitare il nostro headquarter di Molfetta in occasione di un convegno sulle opportunità e strategie di rilancio del tessuto produttivo in Puglia. Per noi è stato un riconoscimento importante dell’efficacia del modello di impresa che stiamo costruendo.

Quale opinione avete del mercato della pubblica amministrazione?

C’è ancora molto da fare. L’innovazione, se non diventa sistema, non genera quel valore aggiunto di cui ha drammaticamente bisogno la competitività di tutto il tessuto industriale italiano.

Soprattutto nella Pubblica Amministrazione, dove comunque si stanno compiendo passi da gigante. Noi ci siamo aggiudicati la commessa INPS, la più grande gara sui servizi evoluti di contact center e citizen relationship management mai bandita nella PA, e abbiamo trovato interlocutori molto preparati e ambiziosi, con molte idee sulla qualità e sull’innovazione dei servizi ai cittadini: insomma, il tempo di stringere alleanze pubblico/privato è ora.

Passiamo all’attuale contesto macroeconomico e agli inevitabili riverberi dettati dalla diffusione del coronavirus: può raccontare ai nostri lettori qual è stata la vostra reazione al lockdown e com’è cambiato il vostro modo di lavorare a seguito dell’emergenza sanitaria?

I primi cambiamenti hanno riguardato la lista di priorità: abbiamo chiuso o ridotto i servizi di orientamento all’acquisto favorendo l’assistenza ai cittadini sui servizi essenziali. Poi abbiamo definito e adottato il modello del Community Care che include e supera il tradizionale concetto di Customer Care: il virus ha “marcato” l’esistenza delle nostre relazioni, rendendoci consapevoli dell’impatto che le scelte individuali hanno sulla collettività. Un altro virus – quello dell’isolamento – ha fatto lo stesso sul piano delle relazioni digitali. Abbiamo capito che al di là della nostra innata vocazione ad esercitare la responsabilità sociale di impresa nel territorio, c’era qui la possibilità di creare un modello nuovo, concentrando le energie nella risoluzione dei problemi da cui l’individuo dipende.

Da qui derivano sia le politiche di welfare di Network Contacts, come l’asilo nido aziendale aperto dieci anni fa o il minimarket “InSuperAbili”.

Crede che torneremo indietro o quello che abbiamo sperimentato in questi mesi (telelavoro, sviluppo del digitale e dei servizi online) diventerà la nuova normalità?

Con una battuta, credo che andremo di lato. Cioè andremo avanti, perché la storia va fisiologicamente avanti, ma non sarà un percorso lineare. Moduleremo i concetti di flessibilità – perché è importante ricordare che non c’è la flessibilità, ma molti modelli diversi di flessibilità che riguardano le ore lavorate al giorno, alla settimana, all’anno, l’organizzazione o i luoghi di lavoro. Ognuno dovrà trovare la sintesi con le esigenze di business e le esigenze di welness delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche con le infrastrutture e le opportunità dei propri territori.

È una trasformazione di sistema e richiede tempo: penso che la nuova normalità l’abbiamo appena sfiorata.

In senso più generale, che cosa possiamo imparare secondo Lei dalla difficile esperienza vissuta in questi mesi?

Grazie per la domanda, mi piace molto. Su molte bacheche LinkedIn è comparsa in questi mesi la frase di Einstein, il cui senso è: le crisi sono una benedizione perché ti spingono a cambiare. Vero, ma per non restare sul livello degli slogan bisogna chiedersi: perché una trasformazione digitale annunciata e celebrata per anni anche al di là del dato di realtà, si è improvvisamente compiuta? O almeno è iniziata e riguarda finalmente numeri consistenti. Io credo sia cambiato l’approccio alle tecnologie.

La crisi ha fatto fare a tutti un bagno di serietà. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’altro giorno ha risposto proprio così al Premier inglese Boris Johnson che diceva che gli Inglesi hanno numeri più alti di persone contagiate dal Covid-19 perché amano troppo la libertà. Ecco, prima della crisi vivevamo tecnologia e innovazione in modo libero, inebriati dalle possibilità e facevamo fatica a calarle in una necessità di business. Eravamo più attratti dall’effetto “wow”. Dopo la crisi siamo diventati più adulti, più maturi: analizziamo il problema e troviamo la miglior soluzione che non sempre richiede una nuova tecnologia. Ma se e quando decidiamo di fare un’iniezione di tecnologia in un processo, è perché serve davvero.

E funziona. Abbiamo imparato a generare valore reale e non solo casi di studio per i convegni.

Parlando di smartworking, anche in qualità di presidente di Assocontact è stato invitato al tavolo del Ministero del Lavoro sull'argomento: quali sono le sue aspettative sul tema per il settore?

Guardi, l’unica possibilità per adottare in maniera sistematica e strutturale il lavoro agile nel nostro settore è un cambiamento dei modelli di business e di organizzazione. Attualmente vige un modello PxQ, prezzo per quantità – che significa che il nostro lavoro viene valutato sui volumi gestiti in un‘unità di tempo stabilita secondo una certa tariffa. Si capisce subito dove è il problema: questo è un modello inconciliabile con la flessibilità, la responsabilizzazione, l’organizzazione agile per obiettivi.

Per passare a un nuovo modello di business in cui l’Outsourcer non è un fornitore ma un vero Partner che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi, c’è bisogno dell’impegno e della volontà di tutti. Ma soprattutto, c’è bisogno della fiducia tra gli stakeholders – e sappiamo quanta cattiva reputazione abbia ancora il nostro settore e quanto quindi sia difficile fidarsi l’uno dell’altro. Per questo, come associazione datoriale stiamo combattendo la madre di tutte le battaglie: una legge di riordino del settore che tuteli i livelli occupazionali, la qualità dei servizi e la competitività leale in un quadro di regole certe e chiare che premino i virtuosi e chiudano gli spazi a operatori ambigui o criminali che sono stati messi in minoranza, ma che purtroppo ancora resistono e fanno danni.

Infine, un’ultima domanda sul prossimo futuro e il complicato scenario legato al coronavirus: quali rischi e quali opportunità vi aspettate d'incontrare nei prossimi mesi?

Credo che nessuno possa fare previsioni credibili. La catapulta della storia è scattata e siamo tutti in volo. Nessuno sa se cadrà in piedi e dove cadrà ed è difficile credere a chi pretende di governare anche questo cambiamento. Questo cambiamento ha dimensioni così ampie e implicazioni così profonde negli Stati nazionali, nell’economie reali, nelle relazioni sociali e nella psicologia degli individui che è impossibile prevedere quale trasformazione eserciterà un’influenza maggiore sulle altre e che scenari avremo. Se vogliamo pensare alle opportunità – una cosa evidente è che chi resisterà potrà guadagnare fette di mercato molto ampie ma dovrà farlo in un tempo molto veloce. Ciò evidentemente porta con sé il rischio di una crescita improvvisa che alcune organizzazioni possono far fatica a gestire. Il che potrebbe determinare un ulteriore periodo d'instabilità, di assestamento, come dopo un terremoto. La grande opportunità che abbiamo sta nel provare a progettare il futuro a dieci – quindici anni. Che poi è quello che è sempre mancato qui in Italia – il respiro lungo. Paradossale e terribile recuperarlo a causa di un virus che minaccia di togliercelo.