Bloccare i requisiti di uscita delle Pensioni fino al 2026: potrebbe essere un'ipotesi dettata non da una manovra governativa, ma da un passaggio obbligatorio degli indici di aspettativa di vita calcolati dall'Istat che vanno verso il crollo per l'impatto demografico del Covid nel 2020 e nel 2021. Le incognite a lungo termine sulle pensioni non riguardano, dunque, solo le probabili perdite di importo di chi andrà in pensione nei prossimi anni, ma anche gli stessi requisiti di uscita dal momento che gli scenari demografici ipotizzati prima della pandemia sono stati letteralmente ribaltati.
Conseguentemente, è ipotizzabile un aumento dei lavoratori in uscita con la pensione di vecchiaia, soprattutto nel quadriennio 2023-2026, e una maggiore incisività del fattore psicologico di chi è prossimo ad abbandonare il lavoro che potrebbe decidere di attendere la vecchiaia anziché optare per la pensione anticipata in vista di un assegno mensile più corposo garantito da un coefficiente di trasformazione più alto in corrispondenza dei 67 anni.
Pensioni, crollo speranza di vita conferma le previsioni di Draghi: in Lombardia perdite di 5 anni
Lo aveva anticipato lo stesso Mario Draghi nel suo discorso al Senato di qualche settimana fa sottolineando gli effetti disastrosi del Covid sulla speranza di vita - in calo fino a cinque anni - e, dunque, anche sulle pensioni.
E le parole del presidente del Consiglio stanno trovando conferma nei primi calcoli sul crollo dell'aspettativa di vita, stimata ai livelli del 2012 per gli uomini e al 2010 per le donne. Mediamente la speranza di vita si è accorciata di 1,4 anni, ma la perdita non è uniforme in tutta Italia: a Cremona, Lodi e Bergamo si sono persi mediamente cinque anni, Milano ne cede due anni e mezzo, tanto è verso che i cittadini della Lombardia, la regione più colpita dal coronavirus, possono sperare di vivere fino a 79 anni (uomini), e a 84 anni (donne), a differenza degli ultimi indici ufficiali riscontrati nel 2019 che assegnano, rispettivamente, un'aspettativa di vita pari a 81,5 e a 86 anni.
Le stime sulla speranza di vita, se confermate dai dati demografici definitivi dell'Istat, porteranno alla conseguente mancata crescita dei requisiti per l'accesso alla pensione regolati - dalla legge 122 del 2010 per le pensioni di vecchiaia e dalla riforma Fornero per le pensioni anticipate - proprio dall'evoluzione demografica.
Pensioni anticipate e di vecchiaia, la speranza di vita potrebbe neutralizzare gli aumenti della riforma Fornero
È da escludersi che la brusca inversione demografica dovuta all'epidemia da coronavirus porti a una riduzione dell'età di uscita per le pensioni perché le regole in vigore lo escludono. Anzi, nel calcolo decimale del meccanismo statistico si prevede che i mesi "persi" in corrispondenza di anni in cui l'aumento è talmente minimo da lasciare inalterati i requisiti di uscita, vengano "messi da parte" e recuperati nei successivi incrementi. È ciò che è avvenuto per il 2021-2022, biennio nel quale si sarebbe dovuto registrare un aumento dell'età pensionabile, poi neutralizzato dalla speranza di vita cresciuta non sufficientemente per arrivare ad almeno un mese di incremento dell'età della pensione.
Con i requisiti delle pensioni anticipate bloccati fino al 2026, l'età dei 67 anni per la pensione di vecchiaia in vigore dal 2019 potrebbe non registrare l'aumento di tre mesi già stimato a partire dal 2023, prima del periodo dell'emergenza Covid. Tuttavia, rispetto alle previsioni di aggiornamento del 2023, il crollo della speranza di vita, soprattutto sopra i 65 anni, potrebbe neutralizzare nuovamente i requisiti di uscita fino al 2026. Infatti, i calcolo che verranno fatti nell'autunno 2021 basati sulla speranza di vita a partire dai 65 anni del biennio 2019-2020 rispetto al biennio precedente, e le successive stime del 2023 quando verranno rapportati i bienni 2021-2022 e 2019-2020, avranno la conseguenza - se verranno confermate le stime di alta mortalità anche nell'anno in corso - di lasciare inalterata l'età di 67 anni per la pensione di vecchiaia ancora per i prossimi cinque anni.
Blocco che si registra già per le pensioni anticipate in applicazione del decreto numero 4 del 2019 che ha istituito la quota 100.
Pensioni dal 2021 al 2026: chi va in pensione a 67 anni
Ipotizzando, dunque, l'età delle pensioni di vecchiaia ferma a 67 anni, è possibile fare delle previsioni dei lavoratori che uscirebbero anno per anno fino al 2026. In base ai requisiti previdenziali attualmente in vigore, nel 2021 andranno in pensione i lavoratori nati entro il 31 dicembre 1954, mentre nel 2022 la data di nascita da tenere sotto controllo è quella ricadente entro il 31 dicembre 1955. Considerando stabile l'età pensionabile anche negli anni successivi, nel 2023 uscirebbero i lavoratori nati entro la fine dell'anno 1956 con una platea più ampia di pensionamenti rispetto alle tabelle ufficiose che innalzano a 63 anni e tre mesi il requisito anagrafico per i calcoli sull'aspettativa di vita.
Conseguentemente, avrebbero accesso alla pensione anche i nati nei mesi di ottobre, novembre e dicembre del 1956, esclusi nel caso in cui l'età aumentasse a 63,3. Analogamente, con l'età bloccata a 67 anni, nel 2024 uscirebbero i nati nell'intero anno 1957 che sarebbero in numero maggiore rispetto all'ipotesi del requisito anagrafico aumentato a 67 anni e 3 mesi. In quest'ultimo caso, maturerebbero i requisiti di uscita solo i nati entro settembre 1957, escludendo i nati nell'ultimo trimestre dell'anno. Dalle tavole demografiche sull'aspettativa di vita, nel 2025-2026 il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia verrebbe innalzato a 67 anni e sei mesi, con uscite rispettivamente dei nati entro giugno del 1958 (per il 2025) e dello stesso mese del 1959 (per le uscite del 2026). Con i requisiti della vecchiaia inalterati, troverebbero spazio per andare in pensione anche i nati da luglio a dicembre del 1958 per il 2025 e i nati da luglio a dicembre del 1959 per il 2026.