L'F-35 lightning II è un velivolo da combattimento. Tanto basta, in un panorama economico-sociale tanto complesso e provato dalla crisi, per suscitare la sollevazione popolare nei riguardi del piano multimiliardario di sviluppo, adozione e produzione del "supercaccia" statunitense. Molte sono le voci che, più o meno autorevolmente, hanno espresso i più discordanti pareri circa questo cacciabombardiere colpevole dei più triviali misfatti: dall'essere perfetta macchina dispensatrice di morte, all'essere deriso quale carretta dei cieli incapace di assolvere le funzioni per cui è stato (profumatamente) pagato.

Nato da una joint-venture composta da numerose nazioni (tra cui l'Italia ndR) nell'ormai lontano 2001, l'F-35 è un cacciabombardiere stealth di ultima generazione (la quinta ndR) sviluppato e prodotto dalla capo-gruppo statunitense Lockheed Martin. E' passato alle luci della ribalta solo pochi anni fa a causa degli esorbitanti costi di sviluppo e produzione, nonché per i tremendi ritardi accumulati dal progetto nel corso della sua gestazione a causa della particolare scelta produttiva del colosso aeronautico a stelle strisce. L'intenzione di far entrare in linea di produzione il velivolo anzitempo, consentendo congiuntamente lo sviluppo del software e la possibilità di addestrare i futuri piloti del velivolo, seppur virtuosa, ha prodotto esattamente i risultati opposti: l'aumento esponenziale dei costi ed un cronico, pesantissimo ritardo nello sviluppo proprio del software di volo.

Numerosi, difatti, sono i paesi che stanno perdendo interesse nel programma o rivedono le loro ordinazioni al ribasso. Non per l'inutilità del velivolo, come insinuato da alcuni, quanto per la necessità di dotarsi in tempi brevi, d'un velivolo in grado di assolvere funzioni chiave nell'uso del dispositivo aereo nel XXI secolo: invisibilità ai radar, diminuzione dei carichi di lavoro per i piloti in missione, nuove suite avioniche per l'acquisizione e la gestione dei bersagli, supporto avanzato alle forze navali e terrestri e mezzo per giungere ad una più completa situation awarness sul teatro di battaglia, al fine di minimizzare o persino annullare il rischio di perdite amiche.

Seppur uno dei più gravi difetti a cui i detrattori si aggrappano per giustificare una cancellazione immediata della partecipazione italiana al programma, che tuttavia ha finanziato da già più di un decennio, ci sia l'impossibilità di volare vicino a tempeste o perturbazioni violente per il pericolo di incappare in fulmini potenzialmente fatali, questa è in realtà la minore delle preoccupazioni: è difatti, tradizionalmente, una certificazione raggiunta solo a fine sviluppo di qualsiasi velivolo.

Nel caso dell'italianissimo M-346 Master prodotto dalla Alenia-Aermacchi, ad esempio, l'addestratore avanzato ha raggiunto tale certificazione circa un anno dopo la consegna del primo esemplare in forza all'Aeronautica Militare di Singapore.

Ben più pressanti sono i problemi relativi al software dell'aereo, senza il quale, alla pari di un computer o uno smartphone, l'F-35 risulterebbe un inutile pezzo di metallo particolarmente ben lavorato. Allo stato attuale delle cose, secondo le interpretazioni più attendibili, il velivolo sarebbe in grado semplicemente di adempiere alle elementari funzioni di navigazione strumentale; in parole povere, semplicemente capace di volare. Essendo poi tutte le versioni del software cumulative, ogni ritardo nella consegna ed applicazione di una di queste versioni porta al sistematico slittamento di tutte le altre, espandendo all'indefinito i tempi di consegna.

Nel caso italiano, partner di 2° livello nel programma, vi è anche il discorso del ritorno economico attraverso la cessione di una percentuale sui ricavi sulla manutenzione e produzione dei velivoli nel nuovissimo centro di Cameri alle aziende italiane coinvolte, ed anche il tema del ritorno in termini di know-how, ossia di acquisizione delle conoscenze, necessario a produrre e progettare un aereo di tale levatura tecnologica.

Sfortunatamente, questi che erano i cavalli di battaglia della compagine italiana, si stanno rivelando solo specchietti per le allodole: a quanto dicono autori ben più specializzati ed immersi nel settore aeronautico, questi guadagni sarebbero molto esigui, di certo molto meno cospicui di quelli che si avrebbero completando la commessa (ferma a 96 esemplari su 121) dell'europeo Eurofighter Typhoon, realizzato dal consorzio Eurofighter, molto più economico in termini di spesa per singolo esemplare e capace di produrre più alti profitti per le imprese italiane impegnate nella sua realizzazione.

Il Governo Renzi, che sarà probabilmente il Governo che dovrà pronunciarsi sul da farsi, sembra intenzionato alla soluzione più logica: dimezzare o ridurre all'osso l'ordine per gli F-35 (obbligato è l'acquisto dei 15 velivoli F-35B per l'Aviazione Navale della Marina Militare, non essendoci sul mercato altri aerei da combattimento capaci di atterrare e decollare verticalmente (VTOL) dalla portaerei Cavour) completando invece quello per i 121 Eurofighter previsti ad inizio anni 2000 quale quantitiativo ideale di velivoli per assolvere i compiti di difesa dello spazio aereo nazionale e per la partecipazione alle sempre più elevate, in termini di standard qualitativi, esercitazioni NATO.

Ciò consentirebbe un cospicuo risparmio per le casse statali, il raggiungimento di uno standard qualitativo molto elevato per le componenti aeree delle Forze Armate italiane e l'adeguata ricompensa per le imprese aeronautiche dello Stivale che da anni partecipano alla realizzazione di un caccia multiruolo quale l'Eurofighter che, seppur non ufficialmente stealth, risulta essere, da indiscrezioni di piloti partecipanti ad esercitazioni internazionali, alla pari coi cugini invisibili adottati dalla United States Air Force.