Leggere che l'Unità cesserà le pubblicazioni dal primo agosto mi lascia un sapore amaro in bocca, ma me lo aspettavo, sono uno dei lettori che lo ha abbandonato da tempo, sono uno di quei lettori che si è sentito tradito da quel giornale, così come mi sento tradito dalla sinistra. Nel 2000 l'Unità ebbe delle serie difficoltà, per circa otto mesi scomparve dalle edicole, poi ritornò e ritrovò molti di noi, oltremodo contenti di rivederla in edicola, però qualcosa aveva cambiato quelle pagine, tutto era diverso e ambiguo, la mia percezione fu subito questa.

L'Unità non era più quel giornale critico, schietto, diretto, non assoggettato a poteri che lo aveva fatto amare, l'Unità era diventato come un organo di stampa del partito e aveva cessato di essere libero, la sensazione che traspariva, leggendo quelle pagine, era che il finanziamento che percepiva e la minaccia di una possibile cancellazione di questo finanziamento, aveva ridotto questo giornale al rango di tanti altri quotidiani, servi di padroni e non più liberi nella scrittura.

Adesso resta solo il ricordo di quando l'Unità martellava chiunque fosse al potere, resta il ricordo delle battaglie portate avanti da grandi giornalisti, per nulla intimoriti nell'attaccare questo o quel potente, resta il ricordo di quando la redazione intera si schierava con quei giornalisti e li difendeva a spada tratta, chiamandoci a raccolta per far sì che anche noi diventassimo paladini della verità raccontata su quelle pagine.

Il finanziamento pubblico all'editoria, cosa che sembrava dare un assetto stabile, ha, alla fine, allontanato i lettori; il finanziamento e, di conseguenza, chi lo elargiva, legato a lobbies potenti, ha, secondo me, indotto a cambiare qualche parola, far omettere di scrivere qualche articolo, di evitare qualche approfondimento e tutto questo si è ben visto, le crepe della forzata induzione al silenzio, su quelle pagine, si sono ben viste.

L'Unità una volta era un giornale libero, poi, pian piano, non lo è stato più.

Ora si piange per la sua scomparsa, ora si piange e si titola "Hanno ucciso l'Unità" e non ci si rende conto che i mandanti di quest'omicidio sono gli stessi che scrivevano su quel giornale, non si rendono conto che a uccidere, nel tempo, l'Unità, sono stati quelli che hanno preferito scegliere un finanziamento che aveva come intento quello di pilotarli, di tacitarli, di orientarli.

Un giornale chiude se mancano i lettori e una volta eravamo in tanti a leggere quelle pagine, il finanziamento che incassavano cercava di mascherare quel che non andava, ma loro vedevano che le copie vendute erano sempre meno, quindi la scelta editoriale doveva essere improntata a fa sì di riuscire a far tornare a leggerle con piacere quelle pagine, liberandosi dai gioghi e dalle catene politiche che ormai incatenavano i loro scritti.

Invece non sono stati di quest'avviso i vari direttori che si sono succeduti alla guida dell'Unità, ciechi a questo declino, tesi a continuare con questo giornalismo accondiscendente, hanno proseguito, imperterriti, verso questa strada della perdita di attendibilità e, di conseguenza, di lettori.

Ora piangono per la scomparsa della testata fondata da Antonio Gramsci nel 1924, ora si disperano, adesso che tutto è (quasi) perduto, rieccoli a parlare con il cuore in mano, chiedendo la sopravvivenza di quelle pagine.

Dura la legge economica, impietosa con chi non riesce a tenersi a galla, ma questo non ha preoccupato quel gruppo editoriale e ora ne pagano le conseguenze, se non vendi, se non convinci e non fai acquistare le tue pagine, non campi a lungo, specialmente in un periodo di crisi come quella italiana, dove già è razionalizzato l'acquisto del cibo, figuratevi quello di un giornale. Esistono giornali che non percepiscono finanziamento, non sono soggetti a nessuno e vendono, perché L'Unità non prova a farlo? Sono sicuro che scevra da ogni legame e libera nello scrivere, quella pagina ritornerebbe gloriosa, quella che chiude non lo era più da tanto tempo.