Per 28 anni, dal 1961 al 1989, il muro di Berlino ha diviso una città, un Paese, il mondo intero. Da 44 anni, lo Statuto dei lavoratori, sta dividendo il mondo del lavoro italiano, con il suo mitico art.18 e altri articoli. Se ora, finalmente, ci si accinge a superarlo non può che essere un preludio di gran festa. Infatti, esclusi i nostalgici di un tempo nel quale, effettivamente, c'erano dei diritti da affermare e quanti, ancora pensano possibile scendere dal mondo che gira, tutti sanno - anche se, spesso, non si azzardano a dirlo - che un eccesso di tutele finisce per danneggiare chi si vorrebbe, invece, tutelare.

Come è stato detto in questi giorni: gli imprenditori non si divertono a licenziare i lavoratori, sulla cui formazione spesso hanno investito tempo e danaro e sulla cui collaborazione contano per poter svolgere la propria attività ma, se il mercato comanda altrimenti o se il lavoratore non risponde alle nuove esigenze, bisogna prenderne atto. La vita non finisce con un licenziamento anzi, spesso, comincia una nuova vita, anche migliore.

Ora occorre, come a Berlino, sgombrare le macerie e costruire architetture nuove, forse belle, ma al passo con i tempi. Purtroppo, per noi, lì c'era uno spazio fisico, grande ma limitato, qui abbiamo uno spazio mentale enorme. Perché, contrariamente a quanto si diceva, l'art.18 non riguardava soltanto i pochi lavoratori reintegrati, come da statistiche giudiziarie.

L'art.18 riguarda l'immaginario collettivo, nel quale ha instillato una idea del diritto del lavoratore come un diritto assoluto, un diritto della persona, un diritto al posto di lavoro - finché morte (pensione) non ci separi - e un diritto quasi a prescindere da torti o mancanze, a prescindere dalle ragioni dell'azienda, a prescindere dalla realtà dei fatti.

Quell'immaginario è stato talmente reale che ha portato tanti imprenditori a mortificare le possibilità di crescita della loro azienda e, contemporaneamente, a non offrire nuove possibilità di impiego a tanti altri lavoratori, giovani o non giovani e, insieme ad altri fattori, ha determinato quella stagnazione secolare - di una generazione - che stiamo vivendo.

Sgombrate le macerie del muro si potrà costruire finalmente un mercato del lavoro nel quale, con gli opportuni strumenti, affidati anch'essi possibilmente ad un mercato, orientare, formare, inserire i giovani o reinserire gli anziani al lavoro, sostenendoli in qualche modo nei loro bisogni durante i passaggi di transizione, che sono da considerare inevitabili, oramai. Con il codice semplificato del lavoro, promosso da Ichino, si torna al codice civile, si ridefiniscono i diritti e i doveri delle parti del rapporto di lavoro, così la famosa parte normativa dei contratti collettivi nazionali di lavoro finisce per non servire più a niente, mentre la parte economica si potrà affrontare più efficacemente a livello di azienda.