Da quando i primi cinesi hanno fatto la loro comparsa in via Paolo Sarpi a Milano, sono cambiate molte cose. Da allora, uno dopo l'altro, quasi tutti i negozi italiani sono scomparsi per lasciare posto alle insegne scritte in caratteri orientali.La via, dopo un lungo periodo di riaggiustamenti e lavori urbani che hanno penalizzato il commercio della zona, sembra finalmente essere ripartita alla grande. Il traffico caotico dei carrellini colmi di merce portati lungo la via dai rivenditori all’ingrosso, praticamente non c’è più; inoltre, invece che sui capi d'abbigliamento fatti in serie (a basso costo) e le solite cianfrusaglie, alcuni dei nuovi negozi aperti da giovani cinesipuntano sui prodotti di qualità.
Via Paolo Sarpi oggi è un tratto pedonale abbellito da panchine e vasi di fiori
Poche le auto che la percorrono, quasi sempre si tratta di grossi SUV dei nuovi cinesi benestanti. Della Milano di un tempo resta ben poco: forsesi ritrova ancora nel color arancione o verde dei tram che l'attraversano, all'incrocio con via Bramante, o nell’architettura dei palazzi antichi; ma, camminando lungo la via, ci si accorge che gli italiani sono una minoranza tra la moltitudine di gente che si incontra. Ed è singolare, anche se ormai i milanesi ci hanno fatto quasi l'abitudine, sentire parlare molti di loro con la tipica cadenza meneghina, figli e nipoti dei primi cinesi arrivati a Milano. Altri (a dir la verità pochissimi) nonostante siano qui da anni, invece non sanno (o non vogliono) dire nulla in italiano: la loro vita sociale si svolge quasi tutta all’ interno di questa grande comunità.
Gran parte dei residenti arriva da Wenzhou e parla un dialetto tipico di quella città (noto anche come 'la lingua del diavolo') una variante del gruppo linguistico 'wu', che venne usata nel conflitto sino - giapponese come codice militare per la sua complessità. Una lingua che risulta incomprensibile perfino alla grande maggioranza dei cinesi.'Non temere il Cielo o la Terra, temi l’uomo di Wenzhou quando parla la sua lingua', recita infatti un antico adagio cinese.
Tra tutti i loro connazionali, sembra che gli abitanti di Wenzhou siano famosi per essere (secondo alcuni) privi di scrupoli e abilissimi nel commercio: due cose che, a ben pensarci, procedono spesso di pari passo.
Dal duemila in poi a Milano gli investimenti dei cinesi sono aumentati
Oggi in via Paolo Sarpi (ma non solo, in ogni via di Milano c'è almeno un bar gestito da cinesi) le attività compaiono e spariscono in così poco tempo da sorprendere perfino chi ci abita.
In molti sorgono quindi spontanee alcune domande: cosa si nasconde dietro il successo delle attività commerciali che aprono e chiudono a ritmo vertiginoso? Secondo dati ufficiali (ovviamente indicativi e non generalizzati), i reati più comuni attribuiti alla comunità cinese sono questi: ricorso all’evasione fiscale, locali non adeguati alle alle norme di sicurezza, forza lavoro clandestina con retribuzioni sotto il minimo salariale, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio di capitali illeciti attraverso i money transfer o negli immobili.Molte delle loro attività, inoltre, chiudono entro i due anni dall’inizio, visto che è difficile ricevere visite fiscali in tempi così brevi.
Chi vive a Milano, nonostante ciò che si dice sulla comunità cinese, sa che invece gran parte di loro non ha mai creato nessun problema ed è costituita da lavoratori instancabili, rispettosi della città che li ospita fino al punto da farsi chiamare con nomi italiani.
Via Paolo Sarpi è una via antica della città, dove Cina e Italia convivono senza particolari problemi, fianco a fianco, diversa da tutte le altre Chinatown sparse nel resto del mondo. Lo dimostra il fatto chenel quartiere sopravvivono negozi italiani (anche se pochi) e bellissimi locali storici, atestimonianza di una convivenza possibile, nonostante la diversità di culture.