Davantial caso Regeni si sta registrando una notevole farraginosità nell'analisi delle prove ed una certa riluttanza nella diffusione delle informazioni; la collaborazione con gli inquirenti italiani è ridotta all'osso nonostante l’apertura – evidentemente soltanto a parole – da parte del governo dittatoriale di al-Sisi nei confronti dell’indagine da svolgersi nel paese di origine dello scomparso Giulio Regeni. Le forze della polizia e dei carabinieri infatti, da più di una settimana sembrano avventurarsi in Egitto su tracce rese sempre più oscure dall'ostilità generale incontrata nel porre domande ed avanzare nel caso.

Ci si interroga dunque sulle cause di una tale situazione e pare profilarsi in maniera sempre più progressiva l’ipotesi di una relazione dell’uccisione dello studente friulano con i corpi di sicurezza egiziani, che siano essi la polizia o servizi segreti o paramilitari; tutto ciò non senza una sconcertata smentita da parte del Governo di al-Sisi.

La situazione in Egitto

Vari elementi, che vanno da alcune ipotesi depistanti, quali quella dell’incidente stradale, alle condizioni di ritrovamento del cadavere e le testimonianze di amici e colleghi del dottorando portate al pm Sergio Colaiocco, sembrano infatti offrire alcune conferme a quella che era stata la congettura della prim’ora.

Tenendo sospeso ogni possibile giudizio sulla possibilità di un’operazione da parte di qualche “ servizio deviato” che abbia architettato rapimento, assassinio e ritrovamento del corpo per gettare in discredito il regime di al-Sisi di fronte ai paesi Occidentali, pare che i segni addotti al corpo di Regeni, di tortura atroce perpetrata per più giorni, siano ben accostabili a quelli presenti nelle descrizioni delle associazioni per i diritti civili egiziane riguardo al modo in cui il regime reprime ogni forma di dissenso, facendo volatilizzare centinaia di persone al mese e conducendo, quando ciò avviene, processi sommari e frettolose condanne.

Denunce e reazioni della giustizia del Cairo

La denuncia del New York Times, secondo cui la polizia egiziana non ha ancora richiesto le immagini del sequestro di Regeni riprese da quattro telecamere di sorveglianza all’interno di quattro negozi nel quartiere di Dokki, portando per altro all’ oblio di queste, considerata la cancellazione automatica delle immagini alla fine di ogni mese, ha ricevuto però una pronta replica dalla Procura di Giza, che afferma come i propri agenti stiano ancora visionando le registrazioni delle videocamere in questione e di quelle all’interno di “ taluni appartamenti” dopo aver assodato, tramite gli apparati di sicurezza, che l’ultimo posto in cui la presenza del dottorando di Cambridge è stata riilevata era via Sudan.

Inoltre, prima della sua sparizione , Regeni era entrato in contatto telefonico con Gennaro Gervasio, amico e professore universitario che ne ha denunciato la scomparsa, in compagnia del quale lo studente si sarebbe dovuto recare al compleanno di un amico, tale “ Hasanayn”, un ricercatore oggi in cattive condizioni di salute, a quanto pare figura importante del dissenso al regime egiziano.

Quando tale telefonata è avvenuta, ciò è avvenuto alle 19.20 e Giulio si trovava in prossimità del proprio appartamento. Affermano dunque dal Cairo che , attraverso una comparazione dei dati, si è evinta una conferma con «la deposizione effettuata da Gervasio» in terra egiziana.