L'esercito turco ha passato il confine con la Siriacon la motivazione ufficiale di strappare Jarablus dalle mani dell'Isis. In realtà le forze armate di Ankara hanno trovato scarne sacche di resistenza e la città sarà presto sotto il pieno controllo dell'Esercito siriano libero, una delle milizie che si oppone al governo di Damasco. Recep Erdogan ha già annunciato che le sue truppe lasceranno la Siria nel momento in cui si concretizzerà questo obiettivo. Lo scopo evidente del presidente turco era quello di impedire l'avazata dell'Ypg. Le milizie curde, di fatto, hanno iniziato il proprio ritiro ed il trasferimento ad est dell'Eufrate realizzando, dunque, la richiesta presentata a suo tempo dal governo Erdogan agli Stati Uniti, che prevedeva l'allontanamento dei curdi da Manbij(il cui controllo sarà affidato ad un Consiglio militare) e lo spostamento sull'altra riva dell'Eufrate da dove, nelle prossime settimane, dovrebbe partire l'azione del Fronte democratico siriano verso Raqqa.

Il tutto, dicono fonti turche, sarebbe stato confermato sia dal segretario di Stato americano John Kerry, sia dal vice presidente Joe Biden.

Erdogan come Tito?

Il "sultano" di Ankara esce decisamente rinvigorito da questa strategia. Ha ottenuto l'allontanamento delle forze curde e ricucito i rapporti con Washington. Nel frattempo tiene aperto il dialogo con Mosca e questo aspetto è evidenziato anche dalla recente "posizione tollerante" espressa nei riguardi dell'attuale governo siriano. Il primo ministro Binali Yildirim ha infatti riconosciuto il ruolo del presidente Bashar al-Assad in questa fase di transizione del Paese, escludendo comunque che il suo regime "possa avere un futuro". Su questo punto si tratterà ancora a lungo con Mosca che difende strenuamente il suo alleato ma fin d'ora la Turchia di Erdogan si candida ad interpretare un ruolo cardine negli equilibri internazionali che si vanno delineando dall'intricata questione siriana.

Il Paese eurasiatico al momento rappresenta una sorta di "cuscinetto" tra Washington e Mosca, simile a quello mantenuto per tanti anni dalla Jugoslavia di Tito nell'Europa divisa dalla guerra fredda.

Nuove accuse contro Assad

Relativamente al futuro del regime di Damasco, potrebbero avere un peso le nuove accuse che sono state mosse all'esercito regolare siriano.

Il 30 agosto prossimo, infatti, il Consiglio di sicurezza dell'Onu discuterà il dossier redatto dagli investigatori delle stesse Nazioni Unite e dell'Organizzazione per le proibizioni delle armi chimiche. La grave accusa al governo di Assad è quella di aver permesso l'uso di armi chimiche in almeno tre circostanze, tra il 2014 ed il 2015.

In merito, l'ambasciatrice statunitense Samantha Power ha chiesto all'Onu che vengano adottate sanzioni rapide nei confronti di una palese violazione varata nel 2013 dallo stesso Consiglio di sicurezza. Ad onor del vero non è la prima volta che vengono mosse accuse di questo peso a Bashar al-Assad il quale non è mai stato uno stinco di santo ma, in passato, ha smontato queste tesi in più di una circostanza. Quella più clamorosa rimane il massacro di Houla del 26 maggio 2012 con oltre 110 civili uccisi tra cui donne e bambini. Allora il mondo intero puntò l'indice su Damasco,ad iniziare dalle Nazioni Unite. Coraggiose operazioni di stampa indipendente hanno poi dimostrato che gli autori dell'eccidio furono esponenti delle milizie ribelli sunnite, se consideriamo che le vittime furono in gran parte alawiti e sciiti.

Per non parlare dei massacri commessi dai ribelli cosiddetti "moderati", in realtà vicini a gruppi armati qaedisti, dei quali si era tentato di incolpare il regime. L'inchiesta in questione ed anche l'entrata in scena della Turchia nello scenario siriano hanno tutta l'aria di abili contromosse statunitensi in risposta alle strategie "oscure", ma non troppo, di Vladimir Putin.