Per l’abrogazione di alcuni punti relativi alla legge sulla Buona Scuola, il 6 luglio 2016 sembrava cosa fatta: era la convinzione del comitato promotore del referendumsulla riforma che, dopo aver raccolto530mila firme in tutt’Italia, ritenute quasi tutte valide, credeva che la consultazione referendaria ci sarebbe stata.

Il giorno successivo, infatti, le firme furono consegnate alla Corte di Cassazione con la certezza di un meritato successo. Il 12 ottobre, invece, è arrivata la doccia gelata: la Suprema Corte, dopo averle esaminate, ha stabilito che per poche migliaia di schede il numero necessario non era stato raggiunto.

Quindi non verrà modificato il criterio per la redistribuzione alle scuole delle risorse provenienti dalle donazioni dei privati. Non sarà toccata la discrezionalità dei presidi in alcune nuove attribuzioni. È stata respinta la possibilità, per i singoli istituti, di decidere in piena autonomia gli obiettivi del proprio piano formativo nel rapporto di alternanza scuola-lavoro.

Un tentativo di equiparare la scuola italiana agli standard europei

Si è persa una buona opportunità per migliorare una legge tanto indigesta? Sicuramente no. I più generosi nei confronti della legge sulla Buona Scuolaritengono che sia ancora in gestazione. Per i più dubbiosi, invece, si tratta di un tentativo mal riuscito di rispondere alle richieste dell’Unione Europea con una proposta formativa più adeguata agli standard comunitari.

Il legislatore ha ritenuto di poter risolvere con questa riforma i problemi di criticità che hanno impedito finora alla scuola italiana di mantenere il passo con gli altri Paesi europei. Per il momento, non gioca a favore dell’Italia il rilevamento, da parte della Commissione europea, che la spesa pubblica italiana, relativa all’istruzione, sia tra le più basse in Europa.

In estrema sintesi, la legge 107 prevede, negli articoli più contestati dai referendari: una maggiore autonomia scolastica; un'offerta formativa più ricca, con il coinvolgimento dell’intera comunità scolastica nella realizzazione del Progetto dell’offerta formativa; un ruolo nuovo per il dirigente scolastico. Questi, da puro burocrate diventa leader formativo con maggiore libertà di organizzare - secondo un proprio criterio - il suo istituto, con la possibilità di scegliere, ogni anno, la propria squadra in base ai posti vacanti e ai curricula dei candidati.

Il "preside sceriffo" e le scelte meritocratiche

Questa novità rappresenta uno dei punti più discussi e contestati dai promotori del referendum. Un pessimismo che non sembra essere motivato dai fatti. I dubbi su un eventuale strapotere del dirigente, tale da permettergli assunzioni a suo insindacabile giudizio, sono meno fondati di quanto qualcuno vorrebbe far credere. Infatti la sua non può essere una scelta personale ma deve essere giustificata, in primo luogo dalla necessità per la scuola di integrare, per un valido motivo, il proprio organico e, in secondo luogo, perché si tratta di scelte effettuate tenendo conto dell'affinità tra il curriculum presentato dal candidato e la figura ricercata.

Anche la figura del "preside sceriffo", circa le scelte meritocratiche, sembra essere alquanto esagerata. Le linee guida sui parametri da applicare nella valutazione del merito sono stabilite, in precedenza, dai presidi stessi in un confronto a livello regionale. Quindi anche le decisioni prese all’interno del singolo istituto scolastico, sono applicate in base ad un criterio che, tra l’altro, deve essere condiviso e noto a tutto il consiglio dei docenti che, di conseguenza, potrebbe contestarlo.