Poco prima del referendum la riforma Madia della PA ha subito uno stop dalla #Consulta che pronunciandosi sul ricorso della Regione Veneto ha bollato come incostituzionale la norma che prevede che i decreti attuativi delle Legge delega siano adottati previo parere anzichè previa intesa con la Conferenza Stato - Regioni.

Nel mirino sono finiti i Decreti di riforma della dirigenza, quello sui servizi pubblici, sulle partecipate e sul licenziamento "rapido" dei dipendenti pubblici. Mentre altri Decreti in dirittura di arrivo, come quello di riscrittura del testo unico dei dipendenti pubblici, subiranno sicuramente un rallentamento.

Ma l'ennesima riforma della P.A., fortemente voluta da Renzi, a prescindere dalla sentenza della Consulta, dimostrava molte lacune . Innanzitutto in materia di partecipazione dei soggetti coinvolti, che sono stati tenuti fuori dal processo e si sono visti calare dall'alto una serie di norme, spesso costruite nelle stanze dei bottoni, senza che chi le scrivesse avesse diretta e piena cognizione di ciò che si parlava. E parliamo non solo degli altri soggetti istituzionali, ( Regioni ed Enti locali) ma anche di sindacati, rappresentanti della società civile, esperti.

Ma il problema non è stato solo di metodo, ma anche di merito .

Abbiamo assistito infatti ad una logica di ritorno alla centralizzazione in luogo del decentramento delle funzioni, una riorganizzazione delle funzioni disorganica, legata in gran parte ad obiettivi di cassa, senza che nei provvedimenti emergesse una vera idea guida.

Un progetto caotico, troppo vasto e di facciata ( vedi la soppressione delle Province) che non ha prodotto veri risparmi, ha creato problemi nella ripartizione delle competenze e di fatto non ha ricollocato il personale, poco valorizzato.

Pensare di riformare la PA intervenendo ( male ) solo sulla dirigenza, bloccando gli stipendi per un decennio, umiliando i lavoratori con campagne denigratorie generalizzate, impedendo per legge e per molti anni, percorsi di carriera e di riconoscimento delle professionalità è stata una follia di tutti i Governi succedutisi negli ultimi anni , una scorciatoia demagogica che ha cercato capri espiatori, ma non ha investito sul cambiamento.

Intervenire ora

Eppure si può e si deve intervenire, con azioni meno pompose e retoriche o con la ricerca a tutti i costi della "riforma storica", iniziando ad esempio a colpire gli sprechi e gli appalti gonfiati, le duplicazioni di competenze, le esternalizzazioni selvagge.

Tenendo la politica, o meglio i Partiti, fuori dalla P.A., impedendo che venga utilizzata per piazzare politici trombati o per far lavorare aziende amiche.

Azionando una vera politica anticorruzione che non si limiti a criminalizzare episodi di malcostume assolutamente inaccettabili come quelli dei cosiddetti furbetti del cartellino, ma che attivi veramente la rotazione degli incarichi, i controlli audit e di gestione.

Avremmo da subito veri risparmi ( altro che quelli che derivano dall'impoverimento dei lavoratori ), maggiore efficienza e una ripresa dell'etica pubblica di cui il nostro paese ha tanto bisogno.

I significati del no

La valanga di no al referendum Costituzionale e la nascita del nuovo ( si fa per dire ) Governo pone probabilmente in una situazione di stallo la riscrittura della riforma Madia ( nonostante la riconferma), visti i tempi ristretti imposti all'esecutivo legati all'approvazione della nuova legge elettorale,

Ma temiamo che il Governo tergiverserà anche sull'accordo preelettorale con CGIL CISL e UIL in cui ha promesso il rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti.

Perchè deve emanare l'atto di indirizzo all' #Aran per l'apertura del negoziato, e in legge di stabilità vi sono risorse scarse, non in linea con gli aumenti promessi.

Così come appare difficile dare seguito alle modifiche normative promesse per ridare spazio alla contrattazione superando la riserva di legge oggi imperante nel rapporto di lavoro pubblico,

Uno scenario di cui avremmo fatto volentieri a meno.