Matteo Renzi è stato definito da alcuni avversari politici "l'uomo solo al comando". Di certo il premier è stato un uomo solo nella sua sfida elettorale più difficile. Ha perso e lo ha fatto in maniera netta ed inequivocabile. Chiusa dunque la sua parentesi di mille giorni al governo del Paese, resta aperto un numero infinito di interrogativi. Qui viene fuori tutta la natura controversa del fronte del NO, una virtuale coalizione che ha messo insieme diverse anime politiche che non hanno nulla in comune e che, inevitabilmente, vedono questo futuro in maniera diversa.

Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, ha dichiarato che l'obiettivo era quello di "mandare Renzi a casa" ma che il Pd "ha i numeri per condurre un nuovo governo senza Renzi" e che "ha la responsabilità di condurre in porto due fondamentali scadenze legislative, la legge di bilancio e la nuova legge elettorale". La posizione di Forza Italia sarà ovviamente scandita da Silvio Berlusconi ma, fin d'ora, sembra più moderata rispetto a quella di Lega Nord e M5S che invocano "elezioni subito e con qualunque legge elettorale". Di certo, dati alla mano, quella attuale non fornirebbe al Paese una maggioranza di governo, da nessun versante. Il rischio sarebbe quello di creare una profonda instabilità come accaduto in Spagna.

Il voto apre la crisi in seno al PD

La maggioranza degli italiani ha votato contro la riforma Boschi ed il tentativo delle varie forze politiche del frastagliato fronte del 'NO' è stato subito quello di intestarsi la vittoria. A conti fatti, è difficile se non impossibile scorporare il dato che ha segnato la netta vittoria degli anti-renziani e, dunque, non rappresenta certamente il termometro politico del Paese.

La vera certezza in fin dei conti è quella di Matteo Renzi, ha perso ed i voti ottenuti sono quelli del "popolo renziano". Piuttosto, il voto apre una crisi difficilmente sanabile all'interno del PD, se Renzi lascia la segreteria del partito non sembra esserci nessuno all'orizzonte in grado di reggere il fardello. Di contro, il premier ha una base da cui ripartire che difficilmente gli sarà utile: non sembra in grado di cicatrizzare la ferita profonda del partito, né di accattivarsi le simpatie della sinistra radicale con cui ha, invece, acuito la frattura in questa aspra campagna elettorale.

In soldoni, Matteo Renzi ha un grande consenso personale ma non è l'uomo ideale per riunire il PD sotto un'unica bandiera, né tanto meno è capace di creare una vera coalizione di centrosinistra. Quanto ai pezzi del PD che hanno votato contro la riforma, farebbero bene ad andarci piano prima di salire sul carro dei vincitori. Per mesi i sondaggi politici hanno indicato la vittoria al NO e lo hanno fatto con pochi punti percentuale, per cui la scelta di campo di D'Alema, Bersani e compagni poteva rivelarsi decisiva in tal senso. Oggi, facendo alcuni rapidi conti, ci rendiamo conto che il risultato elettorale sarebbe stato lo stesso, indipendentemente dai componenti del partito che hanno voltato le spalle a Renzi. La Caporetto appartiene a tutto il PD, nessuno escluso.