dario franceschini è degno di 'Twin Peaks'. Sulla sua figura aleggia un mistero degno dell’agente Cooper (o del suo doppio). La notizia è presto detta: il Ministro della Cultura in carica ha proposto qualche giorno fa una riforma del sistema audiovisivo che prevederebbe, tra le altre cose, di raddoppiare investimenti e titoli seriali italiani e europei nei network del Bel Paese. Nello specifico, di arrivare al 60% di titoli italiani/europei tra le ore 18.00 e le 23.00.

Una proposta di legge lunga 3 anni

Il colpo di mano, perché di questo si è trattato, visti i 3 anni di lavori per arrivare a un testo da approvare lungo tavoli congiunti con i vari broadcaster, tecnici, società di produzioni e addetti ai lavori, con l’intento di non (s)favorire nessuno di essi, ha provocato due reazioni eccezionali.

La prima: una lettera di protesta siglata da tutti gli operatori del settore (Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini), fatto più unico che raro, oltre che per l’associazione unanime e congiunta, anche per la velocità del rigetto al grido di 'impatti negativi a livello editoriale ed economico'. La seconda: lo stop del Presidente del Consiglio Gentiloni – tra l’altro ex Ministro delle Telecomunicazioni - che nell’oramai avviata campagna elettorale ha colto la difficoltà di mettersi contro i canali dove poi quella stessa campagna troverà sfogo naturale.

Interpellato da Lilli Gruber a 'Otto e Mezzo' su La7 (tra i network firmatari della protesta), Franceschini ha avuto il candore di ammettere che il testo è stato ispirato dall’incontro con l’omologo ministro francese e che non ha fatto altro che copiare pari pari la legge francese in materia.

Franceschini neo Machiavelli

Qui sorge il dubbio. Prendendo atto dell’intelligenza tattica/Politica dell’ex democristiano Franceschini, al limite talvolta del machiavellismo, è lampante la differenza tra il mercato italiano e francese, oltre che la distanza culturale, politica (votata alla tutela dei prodotti transalpini) e di storia televisiva tra i due Paesi.

Che cosa ha spinto dunque Franceschini al 'tentato golpe' che metterebbe in ginocchio i palinsesti italiani e, di fatto, precluderebbe le Serie TV americane dall’ora dell’aperitivo all’inizio di 'Porta a Porta'?

Gli addetti ai livori suppongono il voler favorire un certo cinema da 'gauche caviar' prediletto da Franceschini sulle terrazze romane, altri una mossa politica per imbarazzare Gentiloni, suo prossimo avversario politico nel post-Renzi, vista anche la modalità di non averlo avvertito prima di recapitare il testo sulla sua scrivania; altri vedono nell’adattamento della legge francese una risposta all’eventuale 'golden power' che il governo starebbe attuando per respingere Vivendi da Mediaset.

Altri, i più fantasiosi, per favorire La7 di Cairo (non sarebbe un caso che la sua unica intervista in merito sia avvenuta su questo network, dove ha avuto il tempo di promuovere il suo ultimo libro, 'Disadorna') che di titoli americani è per l’appunto… disadorna. Tutte fantasie iperboliche alla Lynch, ovviamente.

Dietrologie e opportunità

Fatto sta che nonostante le dietrologie da fanta-tv il testo rischia un iter alla stregua dello ius-soli: una proposta per lavarsi le coscienze, senza considerare un mercato in rapida evoluzione dove la barriera ai titoli non-europei favorirebbe i vari Netflix, Amazon, Hulu, Apple e via dicendo, oltre che l’annosa questione dei download illegali contro i quali non sembra esserci voglia di resistenza.

Se poi la legge mai passasse, e che oltre alle serie tv vede coinvolti anche i cartoni animati e le fiction, dovrebbe essere estesa alle radio (in Francia vige la legge che i brani trasmessi siano tra il 30 e il 60% nazionali), che non sembrano passarsela meglio delle televisioni. Franceschini forse sogna palinsesti zeppi di 'Gomorra', 'The Young Pope' o 'Romanzo Criminale', ma al momento la sua missiva non è manco arrivata dalle parti di 'Don Matteo'.