Non è certo un’impresa facile, quella di mettere ordine alla miriade di immagini, pensieri, parole, le quali sopraggiungono forzatamente nelle menti di coloro che riflettono sulla felicità, cercando di definirla. Si ritiene necessario chiarire sin d’ora cosa rappresenta, per lo scrivente, la felicità. In prima analisi, non è affatto scontato affermare che la felicità esiste e, dunque, è raggiungibile. Ma essa non si ferma soltanto alla mera emozione ed allo stato d’animo, per quanto importanti e preziosi essi siano. La felicita invece, sfocia pienamente nello stile di vita di chi esiste e si manifesta nell’autorealizzazione, ovvero in quel convincimento tipicamente umano, il quale consiste nel credere di aver fatto ciò che ci si era prefissato e di averlo fatto bene, senza alcun tipo di rimorso.

Una, nessuna, centomila felicità

Quanto detto è la dimostrazione che la felicità non ha nulla a che vedere con la collettività o, per meglio dire, non è la presunta felicità della società che determina la felicità del singolo. Il ragionamento che precede trova conferma in Zygmunt Bauman, nel suo saggio “L’arte della vita”, soprattutto quando dice: “[…] dobbiamo scegliere obiettivi che siano […] ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti […] ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare”. Non solo dunque misurarsi con sé stessi, ma ignorare ciò che sono stati i nostri fallimenti passati. Essi ci potrebbero condurre fuori strada, causarci tristezza, depressione.

È sicuramente vero che bisogna necessariamente imparare dai propri errori lavorando su di sé, ma è anche vero che non vi è un assoluto bisogno di condannarsi per uno sbaglio. La vita ci concede diversi tentativi di riuscire, con molte possibilità che potrebbero condurci verso nuove frontiere. Dopo questa affermazione, sembra lecito pensare che l’ottenimento della felicità sia, in effetti, un qualcosa di positivamente possibilistico.

Invece tale condizione, come suggerisce Bauman nella stessa opera prima citata, si realizza con uno sforzo lungo e lancinante. In altre parole, è un lento passaggio da uno status quo ad un altro. Dunque non si può sperare di soggiornare il quel “locus amoenus” per sempre, come non si può oggettivamente credere che ella risulti palpabile nell’immediato attimo in cui si tenta di conquistarla.

Inoltre, a parer mio, la durata stessa della condizione dell’animo è direttamente proporzionale al tempo ed allo sforzo impiegato per raggiungerla. Si potrebbe anche aprire un'enorme dibattito su come possa essere trovata. C'è chi ritiene valido un modo, una strada, chi preferisce percorrerne un'altra.

La presunta gratuità del bene

Stefano Zamagni, nel suo saggio “Avarizia. La passione dell’avere”, esprime molto bene un’idea a cui dedicare qualche riflessione. Egli dice che per essere felici bisogna essere almeno in due. Per iperbole, se in questo mondo sopravvivesse un solo essere umano, sarebbe condannato all’infelicità. Nel film “Cast Away” con Tom Hanks che interpreta un naufrago in un’isola deserta, il protagonista crea il suo compagno di disavventura, animando un pallone per poterci interloquire.

Questo ha permesso a Tom Hanks di evitare il suicidio. La sopravvivenza ad un passo dal baratro l’ha spronato a cercare una via di fuga, anche se questo gli è costato la perdita del suo alleato. Ma quando è tornato a casa ed ha riabbracciato la moglie, era sicuramente felice. Per questo possiamo domandarci: “Che cos’è meglio della vita stessa per chi è già vivo (non solo nella sua accezione biologica)?” e rispondere, con una certa sicurezza, “Niente”. Zamagni continua: “[…] Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita”. Anche questa frase, merita una profonda analisi. In questo mondo contagiato dal capitalismo, è difficile credere che si riceva qualcosa in maniera gratuita.

Sicuramente succede, ma è arduo pensare che, colui che dà, nulla chiede. Infatti molti soggetti donano “la loro attenzione”, tramite gesti immateriali o materiali, in sole alcune e determinate occasioni. Gli stessi sarebbero capaci di rimanere in attesa di essere ringraziati, ricompensati o glorificati per il loro gesto. In effetti, un esempio che avvalora tale ipotesi: sono le serate di beneficenza dove sono in grado di donare durante l’evento mondano, ma sarebbero sicuramente pronti ad ignorare un pover’uomo incontrato non molto lontano da quella realtà fatta di adorni e voluttà.

Non c’è cammino più impietoso di quello fatto per raggiungere la felicità. Essa non guarda in faccia nessuno ed è una dura conquista per tutti. Non ci sono scorciatoie, anzi quest’ultime rischiano di allungare il cammino.