Nel 1975, la regista Margaret Lazarus conia, in un suo documentario, il concetto di Rape culture, cultura dello stupro, con lo scopo di mettere a nudo, attraverso la sua organizzazione no profit Cambridge Documentary Films, l'approccio incoraggiante e normalizzante dei media nei confronti della violenza sulle donne. Ed è forse proprio quest'idea che si sposa meglio con l'ultimo post di Mattia Labadessa, grafico e illustratore classe '93, noto sui social per essere l'autore dei fumetti comici con protagonista un pennuto rosso su uno sfondo giallo, ora anche raccolti nei due volumi "Mezza fetta di limone" e "Le cose così".

Ma mentre, scadendo sempre di più nel corso degli anni nello humour più becero, il suo uccello antropomorfo, proiezione dell'autore stesso, è sorretto da un'impostazione onirica e permeato dal mal di vivere (tipico è il suo "mai 'na gioia"), dall'ansia costante per un futuro incerto e incombente e per la morte, dall'insicurezza, dall'inettitudine e da complessi esistenziali tradotti in soluzioni comiche, demenziali e satiriche, il post in questione (visibile nell'immagine), pubblicato sul suo profilo Facebook personale e non nella pagina dove pubblica le tavole, ha suscitato parecchio scalpore sulla rete per alcuni motivi. In primis si tratta di una battuta mal costruita e che non fa ridere, ma soprattutto è sessista e riprende il fenomeno della Rape culture, trattandolo nel modo sbagliato e senza esiti comici, il che ha fatto infiammare non poco le donne e il popolo di Internet, che lo hanno preso come un'incitazione agli abusi sessuali.

L'intento dell'illustratore era, per sua stessa ammissione, di fare black humour, ma ciò che è venuto fuori non produce alcun effetto esilarante, né tantomeno risulta ilare.

Un post degradante?

Come sempre, la rete tende ad alzare polveroni per nulla, come se gli utenti di Internet fossero perennemente sul piede di guerra per scatenare la prossima scarica di flame, critiche, commenti o segnalazioni.

Insomma, proprio quanto avvenuto a Labadessa in questi giorni, in cui schiere di ragazze lo hanno accusato di avere perversioni criminali e di offendere la loro dignità con una battuta che peraltro è palesemente scritta con lo scopo di ottenere un effetto comico dalla caricatura di una tendenza squisitamente contemporanea, le app sugli smartphone con versioni a pagamento o piene di funzioni aggiuntive.

Il post è stato addirittura flaggato, il suo profilo sospeso per un giorno e un suo amico segnalato per aver argomentato a suo favore.

Tutto questo perché Labadessa, in quello che sembra un innocuo flusso di pensieri con un tentativo divertente, tocca un tema scottante, specie in tempi in cui l'Italia è più che mai afflitta da quello che i media chiamano femminicidio, oltre che da annose ed efferate depravazioni come molestie, abusi e violenza sulle donne. Il problema fondamentale è che, giustificandosi con l'umorismo nero, l'autore s'incespica in un argomento delicato e sensibile senza il rispetto dovuto, cosa che ha scatenato e turbato molte donne sui social.

In risposta la valanga di odio che Labadessa si è accattivato pubblicando un contenuto del genere su una piattaforma online di così ampia risonanza, il post è stato cancellato, ma Bossy ha salvato e ripubblicato lo screen, al quale ha fatto seguito un messaggio di scuse di Mattia.

Qui il giovane spiega che la sua era solo una battuta, peraltro uscita male, che non aveva alcun intento offensivo; e di certo, specifica, non è a favore dello stupro, ma ammette che l'idea gli era balenata in metropolitana, guardando una ragazza molto carina, dichiarazione che ha allarmato ulteriormente le sue fan.

Il black humour

Come accennato prima, Labadessa ha giustificato comodamente il contenuto del proprio post con del semplice black humour. Il problema fondamentale, tuttavia, è che, a prescindere dal tipo di umorismo adoperato, il post era inteso come una battuta, sì, ma una battuta che non fa ridere affatto, oltre ad essere del tutto di pessimo gusto e degradante per la categoria sociale involontariamente bersagliata.

Questo caso apre, a tal proposito, una riflessione sulla vera natura dell'umorismo nero e su quanto le pagine Facebook e i memes che spacciano i propri contenuti per comicità nera non facciano in realtà che insultare gli intenti reali di tale umorismo dissacrante, che affonda le proprie radici nella filosofia e nella letteratura. Il black humour è uno strumento comico essenziale per affrontare i temi considerati sensibili, tabù o inaccettabili a livello sociale e che non possono essere trattati in altri modi se non seriamente o sdrammatizzando, come: razzismo, sessualità, nazismo, fascismo, guerre, politica, celebrità, genocidi, malattie, disabilità, omicidi, misoginia, discriminazione, misantropia, religione, violenza, femminismo e ogni sorta di argomento potenzialmente offensivo rispetto a certe categorie individuali "di tendenza".

L'umorismo nero tende a decostruire tutti quei paradigmi sociali e morali ritenuti inattaccabili per svelarne le debolezze, gli stereotipi, le incongruenze e le assurdità più recondite, padroneggiando la componente umoristica con risultati grotteschi e, talvolta, paradossali. Ma, prima di tutto, il black humour è equo: non smonta solo alcuni aspetti della società odierna come strumento satirico, ma attacca tutti in egual misura, della serie "vi odio tutti indistintamente", perché in fondo tutte le cose hanno degli angoli bui da criticare. Inoltre, il black humour deve anche fornire uno spunto di riflessione, deve ridurre dei contenuti potenzialmente filosofici, sociologici o psicologici a una serie di battute finemente costruite, e va considerato e valutato in riferimento al contesto cui rinvia: ad esempio, il british humour, notoriamente connotato da freddure sprezzanti nei confronti della società inglese, presuppone una buona conoscenza delle dinamiche politiche e delle figure cardine dell'immaginario britannico o dei personaggi di spicco del Regno Unito.

Il black humor è, per definizione, un modo satirico o ironico di discettare un argomento delicato su cui normalmente non saremmo portati a fare satira o ironia, violando regole non scritte dalla discrezione sociale dominante, e Labadessa è un fenomeno che si ferma ad una visione cinica e nera della vita, forse perché passare da sfigati oggi "fa figo". Il punto è che per fare del buon umorismo con un tema scabroso come questo, data la caccia alle streghe che puntualmente viene messa in atto quando qualcuno la pensa diversamente dalla massa, è di spostare l'attenzione sulla finalità comica della battuta, pur esaminando un argomento coraggioso.

Da Diogene a Kubrick

Ma per sviscerare la genesi dello humour nero bisogna andare a ritroso nel 1935, quando il surrealista francese André Breton coniò quest'espressione nel libro "Anthologie de l'humour noir", attribuendo a Jonathan Swift la creazione di tale umorismo per le sue opere "A modest proposal", "Directions to Servants", "A Meditation Upon a Broom-Stick" e per alcuni suoi aforismi.

Oltre ai brani di Swift, nel libro di Breton sono contenuti esempi in cui la commedia viene impostata sulla derisione della vittima, la cui sofferenza viene banalizzata e porta a simpatizzare con il carnefice, reso attraente per il lettore, similmente ai racconti del Marchese de Sade.

Breton disamina l'umorismo nero in riferimento a una particolare commistione di commedia e satira che affonda le proprie radici addirittura nell'antica Grecia di Socrate. È infatti in seno ad una precisa scuola socratica che si rintracciano i semi della futura black comedy, ossia quella cinica: fondato, si pensava fino a qualche anno fa, da Antistene, il cinismo antico vide tra i suoi maggiori esponenti il noto Diogene di Sinòpe, vissuto tra i primi anni del V secolo a.C.

e gli anni venti del successivo. Non si è mai chiarito fino in fondo da dove derivi e cosa indichi l'epiteto "cinico", ma potrebbe essere legato al fatto che Diogene avesse uno stile di vita quasi "canino" ("cane" in greco si dice "kyon").

In effetti Diogene era una delle figure più singolari del mondo antico e più colorite in fatto di aneddotica: anche se non tralasciò di mettere per iscritto le sue convinzioni, si può quasi dire che il suo pensiero si condensi nella sua biografia, nella quale è palpabile l'eredità di Socrate, che non solo aveva modellato la sua vita sulla filosofia, ma aveva anche perseguito un suo concetto di virtù indipendente dalle convinzioni e dai valori comunemente riconosciuti.

E in Diogene quest'atteggiamento ha più che altro l'aspetto negativo di un rifiuto generalizzato, mentre la libertà e la virtù cui anela comportandosi in questo modo non appaiono particolarmente ricche di contenuto.

Ma, oltre al cinismo, anche lo scetticismo pose le fondamenta dell'odierno dark humour, a partire da Pirrone, Arcesilao, Carneade e l'Accademia platonica. Nel linguaggio comune l'appellativo "scettico" indica, erroneamente, l'atteggiamento di chi non crede alle possibilità della conoscenza. In verità lo scettico è colui che, dubitando in continuazione di tutto, si pone sempre nuove domande alle quali corrispondono risposte che aprono a nuovi quesiti, mantenendo la verità in un'incertezza permanente che impedisce alla realtà di svelarsi in maniera assoluta.

Il nesso tra le due accezioni consiste nel fatto che lo scettico è in primo luogo colui che ritiene che la ricerca non possa dirsi mai conclusa, i risultati mai definitivi, poiché è impossibile conseguire verità così perentorie da rendere superflue ulteriori ricerche. Ma questo non vale per tutti gli scettici antichi, che produssero diverse varianti di tale orientamento, percorrendo le tappe dei vari esponenti, dal fondatore Pirrone, secondo cui la nostra naturale incertezza ci fa accettare senza turbamento qualsiasi cosa ci capiti, al neoscetticismo.

Basata sul grottesco e diffusasi a macchia d'olio, la comicità nera fu adoperata anche da scrittori come Mark Twain e Luigi Pirandello, illuministi come Voltaire, ma anche da mestieranti e artisti del cinema come i Monty Python e Stanley Kubrick ne "Il dottor Stranamore".

È chiaro che il post di Labadessa abbia avuto esiti indesiderati e per la risonanza mediatica del fumettista è stato un po' imprudente scrivere di getto un pensiero del genere. Tuttavia le reazioni eccessive del web, che non si sono fatte attendere, sembrano più preoccupanti del post stesso, con commenti del tutto inappropriati. Nemmeno il tentativo di discolpa e l'eliminazione del post sono serviti ad assolvere Labadessa da un errore che gli è costato caro in questi giorni. Ma, forse, ancor più efficace del messaggio di scuse, sono le parole pronunciate dal comico Jim Jefferies in merito a una questione analoga: "C'è un'enorme fottuta differenza tra quello che penso e quello che penso sia divertente da dire." Bisogna solo comprendere questa differenza, compito che a quanto pare, non è da tutti.