Tutti abbiamo una zia, un vicino di casa, un parente lontanissimo e un ex compagno di scuola che scoprono l'esistenza dei servizi di messaggistica istantanea e dei social network. Tutti conosciamo, tra le stesse categorie, quelli che cascano nelle bufale della rete. Zia, hai mai sentito parlare di debunking?

Una volta che entrano in contatto con noi, in una buona percentuale di casi, si passa dalla conversazione alla condivisione di contenuti.

Maledetto il giorno che t'ho contattato

Dai copia-incolla degli auguri di Buona Pasqua fatti di video pucciosi e strappalacrime ai contenuti di dubbia veridicità, però, il passaggio è quasi immediato.

Non è più un problema di Buongiornissimo Kaffè, perché quanto riceviamo con tanto di imperativo "fai girare" è diventato un fenomeno che non è più possibile sottovalutare. Ci ritroviamo, infatti, sommersi dai messaggi dall'incipit del calibro di "Condividi prima che lo censurino / Fai girare, tutti devono sapere / La tv e i giornali non lo dicono", e via discorrendo.

Ci viene detto, ad esempio, che un pericolosissimo batterio viene trasmesso a noi comuni mortali attraverso le piogge forgiate dal condensarsi delle scie chimiche, e che nemmeno gli ombrelli possono proteggerci da una strage imminente che minaccia il genere umano.

Ancora, ci viene inviata l'immagine che ritrae una persona indicata come pericolosa, truffatrice o - peggio ancora - infetta, che si diverte a sfiorarci la mano mentre passiamo per strada per diffondere la sua malattia.

"Non si sa mai, io te la mando", ci dicono.

Il mondo non è nuovo a queste cose, ma l'era di Internet ha fatto in modo che il mondo della disinformazione e delle notizie false (altrimenti dette bufale o Fake News). Tutto sfugge di mano, perché lo strumento "inoltra" presente in ogni dispositivo e in ogni servizio rende tutto più veloce.

Non si mente, dunque, quando si afferma che le bufale della rete possono condizionare le opinioni politiche, sociali e - nel peggiore dei casi - portare a condizionare i propri rapporti personali.

Il debunking

I motivi e le conseguenze sono innumerevoli, ma il debunking è un tentativo di mettere a freno la dilagante e spesso incontrollabile dimensione delle notizie prive di fondamento.

Se la rete è ormai così fruibile a tutti, altrettanto vale per il debunking. Spesso si parla di un servizio curato da liberi cittadini che si prendono la responsabilità di offrire un'analisi delle notizie più virali della rete e cercare un riscontro sui canali più autorevoli dell'informazione (testate ufficiali, canali istituzionali et cetera), in una serie di letture incrociate definita fact checking (tradotto letteralmente in verifica dei fatti) che portano, appunto, alla verifica dell'attendibilità della notizia presa in esame.

Il debunker, o sbufalatore, fa questo. Accertarsi sull'attendibilità delle fonti di una notizia è la sua scelta.

Il debunking è super partes?

La verità non è democratica, dunque il debunker dovrebbe restare al di sopra di ogni ideologia e gusto.

Molto spesso, infatti, si ritrova a difendere la verità di un politico - ad esempio - che non rientra nelle sue posizioni personali: vuoi perché si diffonde una notizia nella quale si inventa che quel politico si è macchiato di qualche crimine osceno o di qualche affermazione infelice, vuoi perché la bufala del giorno lo indica come morto o in gravi condizioni. Insomma, qualsiasi verità, per il debunker, è quella che deve emergere.

Perché il debunking è diventato così importante?

Troppo spesso capita che gli autori delle bufale e della disinformazione, addirittura, pubblichino contenuti di taglio medico-scientifico condizionando, così, l'opinione e la scelta sanitaria di ignari utenti che non hanno la coscienza di verificare le fonti.

In questo modo l'attenzione del pubblico viene dirottata verso verità non certificate, creando anche una sorta di sfiducia verso il personale sanitario competente che si contrappone, invece, a un asservimento incosciente verso canali di informazione non ufficiali, creati solamente per generare un rendimento monetario agli autori di quel sito, quel blog o quella finta testata.

Il debunking serve anche a questo: quando il debunker non è nelle competenze di offrire alla propria analisi il giusto taglio scientifico, solitamente si serve del supporto di un medico o si limita, semplicemente, a indicare al pubblico quali sono i canali più autorevoli per informarsi circa la propria salute.

Altri fenomeni di spicco nel mondo delle bufale sono i contenuti fuorvianti a tema politico (pensiamo, ad esempio, all'accanimento contro la ex presidente della Camera Laura Boldrini) e a tema socio-politico, che spesso fa gola al pubblico dalle posizioni razziste.

Per quest'ultimo possiamo pescare dal cilindro la realtà dei migranti, che quasi ogni giorno sono al centro dell'indicizzazione Google apportata dalle bufale diffamatorie, spesso accompagnate da strani interventi nostalgici.

Non sono da dimenticare, infine, le bufale sull'alimentazione.

Il debunker è dell'opinione che non esistano bufale innocenti, perché qualsiasi deviazione del pensiero inoculata da false informazioni può portare a delle conseguenze più o meno gravi. Il suo compito, dunque, è fermare vostra zia, il vostro vicino e la vostra dirimpettaia e insegnare loro quanto sia importante la verifica delle fonti.

In un mondo social ormai quasi fuori controllo, il debunking serve a mantenere la rete sobria e spoglia da ogni disinformazione.

È legittimo, ovviamente, mantenere un proprio schieramento.

Lo è un po' meno, ammettiamolo, credere alla propria zia che crede alla propria nipote e non essere disposti a credere a una fonte ufficiale.