Beatrice aveva 15 anni ed è morta sotto un treno, a Porta Susa, Torino. Ha deciso di buttarsi sotto un treno evidentemente perché era stanca di sentirsi diversa. Diversa da come ci vuole questa società: si sentiva grassa. Non si sentiva a suo agio, si sentiva additata, derisa e umiliata, per qualcosa di normale. La negatività che si da alla grassezza è una costruzione sociale. Se sei diverso dai canoni di questa società ne sei escluso. Bisogna essere magri, alti e belli soprattutto per essere accettati.
La stupidità della gente arriva fino a questo punto: deridere una ragazzina per i suoi chili di troppo.
Di troppo per chi poi? Per gli altri che non accettano il diverso in nessuna forma. La cosa ancora più stupida è non rendersi conto della cattiveria inflitta agli altri, in modo completamente gratuito. Per questi haters la cattiveria è una dote da sfoggiare ed esercitare a proprio piacimento. Questo odio verso Beatrice continua anche dopo la sua morte. Sui social la gente si scatena e infierisce ancora sul suo corpo dilaniato dallo schifo che la circondava. Tanti altri ragazzini, come lei, sono stati vittime di bullismo. Si sono uccisi convinti di porre fine al dolore.
Come Michele, ragazzo di 17 anni, che si è tolto la vita ad Alpignano. Qualcuno aveva deciso che il suo modo di camminare, dovuto ad un’ipotonia muscolare, avrebbe dovuto essere l’oggetto dei loro scherzi e delle loro prese in giro, che pian piano hanno portato il ragazzo prima all’autolesionismo e poi al gesto estremo.
Ad enfatizzare tutta questa violenza contribuiscono i social network e i nuovi media che oltre a trasmettere stereotipi, aiutano la diffusione dell'odio su più vasta scala, a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo. Sarebbe utile, invece, servirsi di questi mezzi, vista la loro presa sui giovani, per contrastare questi episodi e diffondere il più possibile un messaggio positivo e solidale.
Stereotipi della società
Continuiamo a interrogarci su quello che ha fatto Beatrice, ma forse dovremmo chiederci cosa abbiamo fatto noi. Noi adulti, noi società. Noi ogni volta che abbiamo fatto una battuta “goliardica” su quel ragazzo che passava per strada e sul suo ancheggiare troppo “femminile”, noi ogni volta che abbiamo imposto la nostra visione stereotipata all’intera società, noi ogni volta che abbiamo lasciato correre perché “ma dai, sono solo ragazzate, quando cresceranno non accadrà più”, noi ogni volta che abbiamo assistito ad una e ad altre mille di queste scene, ma non abbiamo detto niente.