Che in Umbria avrebbe vinto il centrodestra si sapeva. Era nell'aria e i sondaggi erano tutti concordi: Donatella Tesei sarebbe diventata la Presidente della Regione. Ma ciò che sorprende è la percentuale del M5S: è al 7%. Nelle ultime elezioni politiche nazionali (quelle del 2018) il partito di Luigi Di Maio in Umbria prese il 27%. Un calo del 20% in poco più di un anno e mezzo. E il caso umbro non è isolato. Basti pensare alla Sardegna, per esempio: qui nel 2018 il M5S prese addirittura il 42,5%. Il 24 febbraio 2018 si è votato per nominare il Presidente della Regione e il M5S prese meno del 10% di voti (mentre il candidato prese circa l'11%: era possibile il voto disgiunto).

Un crollo quasi del 30%. E la tendenza in Italia è pressoché ovunque questa: basti pensare alle recenti elezioni europee, in cui il partito di Luigi Di Maio prese il 17% dei voti, quasi dimezzandoli rispetto al 2018. Insomma: il Movimento 5 Stelle viene da una serie di batoste elettorali incredibili.

Necessaria una riflessione interna al partito

Dopo ognuna delle sconfitte appena citate, sono arrivati messaggi bellissimi da parte del capo politico ed attuale Ministro degli Esteri. Messaggi che sembravano arrivare da una persona che aveva acquisito la consapevolezza di aver commesso degli errori. Ma puntualmente, nonostante le belle parole, l'emorragia di voti continua. E il Movimento pare essere allo sbando, con senatori che non concordano con alcune scelte dei vertici del partito (come il senatore Paragone, che nelle scorse settimane ha criticato duramente l'accordo di governo con il Pd) e con un Sindaco di Roma (Virginia Raggi) che è sommerso da problemi enormi (molti dei quali, certamente, non causati da lei) che non sembra essere in grado di risolvere.

Un partito, insomma, che sembra essere lontanissimo dai fasti del passato (molto recente, a dire la verità). Il Movimento 5 Stelle paga alcune scelte che, agli occhi degli italiani, gli hanno fatto perdere ogni tipo di credibilità: dagli streaming oramai scomparsi al voto che ha salvato Salvini dal processo, ma ancora: dalle offese al Pd e a Renzi si è passati a governare l'Italia con loro.

L'ultima capriola Politica si è avuta proprio con le elezioni regionali umbre: il M5S, che si era sempre detto contro le coalizioni 'accozaglia' (come erano state da sempre chiamate dal Ministro degli Esteri), si è presentato in Umbria in una coalizione con ben cinque liste (fra le quali il Partito Democratico). Insomma: il vero problema del Movimento non è aver perso gli elettori (la storia recente ci dice che in Italia la situazione può cambiare radicalmente in pochissimo tempo), ma è aver perso tutti gli ideali con i quali si erano presentati agli italiani.

Luigi Di Maio può essere ancora il leader del Movimento?

Ed ecco che, allora, la domanda diviene obbligatoria: Luigi di Maio ha la legittimità di essere ancora il capo politico del partito? Per cercare di risorgere dalle ceneri, il Movimento deve basarsi esclusivamente sui suoi ideali che tanta presa avevano fatto sull'elettorato. E, tra questi ideali, il più forte era quello secondo cui 'ognuno valeva uno'. Nessuno vale più degli altri, dunque; e questo ideale, per non essere perso, deve valere anche per Di Maio. Perché è inutile negarlo: il Movimento è in fase di crollo verticale e il capo politico non può giustificare l'ennesima debacle con il fatto che l'Umbria fosse un "esperimento". La verità è che in Umbria vi è stato l'ennesimo fallimento di un capo politico che ha fallito su tutta la linea. Se veramente "ognuno vale uno", il M5S deve avere il coraggio di aprire la fase del post-Di Maio prima che sia troppo tardi.