Enrico Letta è stato eletto nuovo segretario del PD quasi per acclamazione, con 860 voti favorevoli, due contrari e quattro astenuti. L'ex presidente del Consiglio trova quindi un ampio sostegno alla sua segreteria, che avrà il durissimo compito di imprimere una svolta alla Politica del Partito Democratico, alle sue idee e alla direzione che vuole intraprendere.

La sua elezione è stata segnata da alcune frasi particolarmente sentite che, a detta di Letta, devono segnare la strada che il Pd dovrà percorrere. "Ius soli", "essere progressista nei valori, riformista nel metodo e radicale nei comportamenti", sono solo alcune delle massime espresse da Enrico Letta, candidatosi dopo aver chiesto ampio sostegno e un congresso a scadenza naturale.

Nel Pd di Letta si possono rivedere alcune analogie con lo studio compiuto nel 1909 da Robert Michels nel suo libro "Sociologia del partito politico", pubblicato nel 1911.

Michels studia il caso della socialdemocrazia tedesca, la Spd, e la sua composizione interna.

La legge ferrea dell'oligarchia

La teoria promossa dal sociologo e politologo tedesco parte dall'assunto che tutti i partiti politici si evolvono a partire da una struttura aperta alla base, con una pronunciata partecipazione "bottom-up", che diventa inizialmente il tratto caratteristico nel tentativo di differenziarsi dai propri avversari. Con il passare del tempo, tuttavia, questa struttura necessita di una specializzazione vieppiù maggiore, per garantire al partito di sopravvivere nell'arena politica, causando quindi la formazione di oligarchie interne: veri e propri centri di potere che detengono ed esercitano l'"imperium" in maniera continuativa ed esclusiva.

Con il tempo, queste oligarchie divengono delle élites (non a caso la dottrina designa Michels come uno dei padri fondatori dell'elitismo), elemento che causa un profondo scollamento con la base e con le idee su cui il partito originariamente nasce. Dice Michels, infatti, che "Chi dice organizzazione, dice tendenza all'oligarchia.

La tendenza burocratica ed oligarchica assunta dalla organizzazione dei partiti anche democratici è da considerarsi senza dubbio quale frutto fatale di una necessità tecnica e pratica. Essa è il prodotto inevitabile del principio stesso dell'organizzazione" (Der Konservative Grundzug der Partei-organisation, 1909, pp 232-233).

Il pessimismo di Michels, che riscontrava la presenza della "legge ferrea dell'oligarchia" anche nei partiti socialisti di massa più piccoli, lo portò a non sperare più, per estensione, nella piena realizzazione della democrazia liberale. Veniva dimostrata in tal senso la permanente scissione tra minoranza dominante e maggioranza dominata, da cui discende l'impraticabilità della democrazia stessa.

Michels descrive una netta accentuazione della distanza tra massa ed élite, ma al contempo riconosce questo come un fenomeno fisiologico delle aggregazioni umane, e non patologico. L'effetto di tutto ciò sull'attività politica del partito si traduce nella moderazione, da parte dei partiti, e nella rimodulazione dei loro obiettivi.

Lo scopo precipuo diventa quindi la sopravvivenza del partito, e non più la realizzazione del suo programma. In ultima analisi, seppur parziale, la legge ferrea dell'oligarchia si esplica nella contraddizione secondo la quale ogni disegno democratico (quale il partito), per essere perseguito, finisce con il costruire al proprio interno una struttura portatrice di una condizione di profonda diseguaglianza.

Il Pd come la Spd tedesca

Il Pd, in questo quadro, pare sovrapponibile alla Spd studiata da Michels oltre un secolo fa.

I posti di potere interni al partito sembrano infatti oramai fossilizzati da anni nelle mani delle stesse persone. Il neo segretario Letta è stato Presidente del Consiglio. Nicola Zingaretti, suo predecessore, ricopre tuttora la carica di Presidente della Regione Lazio.

Maurizio Martina, venuto ancor prima di Zingaretti, era stato ministro delle Politiche Agricole e Forestali. Pier Luigi Bersani era stato Presidente dell'Emilia Romagna, nonchè più volte ministro. La segreteria di Matteo Renzi, con corrispettivo governo, è sembrata una soluzione di continuità nel processo di "oligarchizzazione" dei dem, ma ha ricevuto talvolta più attacchi dal suo interno che dagli avversari politici.

Il Pd viene spesso percepito come un'organizzazione che, dinanzi a qualsivoglia crisi, trova nel cambiamento del proprio leader la ragione per sopravvivere. Cambia il segretario, ma il Pd resta sempre lo stesso. Non a caso il refrain è sempre lo stesso.

"Ripartire dai circoli", "aprire ai giovani e all'associazionismo", "analisi della sconfitta" e via dicendo.

Finché non arriva la prossima crisi e il PD cercherà, non riuscendoci, di risorgere grazie al nuovo ennesimo segretario. E non è un caso che le idee su cui il partito nacque al Lingotto di Torino, vengano oggi abbandonate, in nome di un'alleanza con il M5S, tralasciando definitivamente così la "vocazione maggioritaria" di veltroniana memoria. Occorrerebbe forse un radicale cambio non nei segretari, bensì nella classe dirigente che occupa ormai da anni i posti dirigenziali del partito e nelle istituzioni.