Da giorni si vociferava in merito alla candidatura a segretario del Partito democratico da parte di Enrico Letta e nella mattinata del 10 marzo è arrivata la risposta dell'ex premier con la quale ha chiesto 48 ore di tempo per decidere, dopo quella che egli stesso ha definito "inattesa accelerazione", arrivata in seguito alle dimissioni da leader del partito del Governatore del Lazio Nicola Zingaretti.

La crisi del Partito democratico

Enrico Letta, nel caso in cui decidesse di candidarsi alla guida della segreteria, dovrà cercare di appianare le divergenze interne sorte in seno ai dem sottolineate anche nell'annuncio del segretario uscente Nicola Zingaretti di una settimana fa che, lasciando l'incarico, parlò di "stillicidio continuo" e di partito in cui "da 20 giorni si parla solo di poltrone e primarie", confermando la presenza di profonde tensioni all'interno del Pd.

Enrico Letta dovrà fare i conti con la "guerriglia quotidiana" citata da Zingaretti. Nonostante l'appoggio alla sa candidatura appaia al momento molto ampio, alcuni autorevoli esponenti di partito hanno iniziato a mettere dei paletti. Ad esempio, sul Corriere della sera Andrea Romano (della corrente Base riformista) aveva dichiarato: "Nessun nome è escluso"; parole che fanno il paio con quelle di Matteo Orfini (presidente del Pd) che aveva spiegato come fosse "ancora tutto prematuro".

Un altro esponente di spicco del partito, il Presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, pur riconoscendo l'autorevolezza della candidatura, aveva chiesto a gran voce il congresso nazionale (Bonaccini al momento è il leader del Pd con il maggior gradimento, stando ai sondaggi).

Questo però andrebbe in contrasto con le condizioni poste da Enrico Letta.

Le condizioni poste da Enrico Letta

Sempre nel corriere vengono illustrate le 2 condizioni che Enrico Letta avrebbe posto. La prima è che la sua candidatura sia la più unitaria possibile. Letta non può permettersi di dividere ulteriormente un partito che ha visto il segretario uscente rassegnare le dimissioni per le proprie lacerazioni interne; la seconda condizione riguarderebbe la volontà di indire il congresso a scadenza naturale, ossia nel 2023.

É quest'ultima condizione che inizia a causare malumori all'interno del partito e, di conseguenza, rischia di minare ulteriormente la stabilità del partito.

Letta vorrebbe che la sua segreteria durasse fino al 2023 per poi indire il congresso e la conseguente elezione diretta del segretario e dell'assemblea nazionale solo successivamente.

Questa posticipazione del congresso darebbe a Letta un importante beneficio. Avrebbe modo, insieme all'attuale assemblea nazionale fortemente zingarettiana, di compilare le liste elettorali delle prossime elezioni politiche.

Le pressioni esterne al partito

In quanto alle questioni esterne al partito, il Pd deve affrontare le continue pressioni di chi si dichiara vicino ai suoi ideali. Questo potrebbe influenzare la decisione finale di Letta.

Recentemente, ad esempio, le sardine sono arrivate nella sede del Pd a Roma. A seguito, il leader del movimento, Mattia Santori, aveva dichiarato a Repubblica, che "in questo momento il Pd ha un marchio tossico" e successivamente, citando il Vangelo, ha concluso l'intervista con un lapidario: "Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti".

Altre critiche rivolte al partitoriguardano il fatto di essere diventato un partito "vuoto, senza idee, senza identità, senza militanti e senza classi dirigenti", come ha scritto il direttore Stefano Feltri su Domani dell'11 marzo. Oppure riguardano il fatto di essere diventato un partito populista, come ha accusato Staino in un'intervista sulla Nazione, il 9 marzo.

Le 48 ore di tempo richieste per "riflettere bene", serviranno ad Enrico Letta per capire se riuscirà a conciliare le condizioni poste con le questioni interne, ma anche quelle esterne, al partito.