Nemmeno la calura estiva e l’imminente pausa dai lavori parlamentari sono riusciti a rasserenare gli animi del Partito Democratico. L’accelerazione del governo sul pacchetto di riforme costituzionali ha amplificato le distanze già in essere. La quotidianità si è trasformata in una resa dei conti interna capeggiata dalla minoranza bersaniana. Renzi, pur proseguendo nel suo intento, deve cominciare a fare i conti con una maggioranza labile e ballerina. Numeri che però non sono mancati questa mattina all’interno dell’aula del Senato, che ha dato il via libera definitivo alla riforma della Pubblica Amministrazione: 145 sì, 97 contrari.

Un altro successo per l’ex sindaco di Firenze che ha voluto (a caldo) lanciare un messaggio beffardo su Twitter ai suoi detrattori: “Un altro tassello, approvata la riforma PA #lavoltabuona, un abbraccio agli amici gufi”.

La distanza dai veri problemi

La Casta contro il Paese reale. Quante volte si è parlato della contrapposizione tra i privilegi della politica e i bisogni della cittadinanza. Oggi tale frattura non si è affatto ricomposta e ha lasciato il passo a una disarmante verità: il popolo resta mero spettatore del proprio destino. È in questa crisi di appartenenza, di rappresentazione, che si inseriscono forze come il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord. La prima sempre più svincolata dalla presenza ingombrante di Beppe Grillo; la seconda, con Matteo Salvini, ha cavalcato con intelligenza battaglie sì populiste ma attuali (vedi emergenza immigrazione e sicurezza delle città).

Non c’è niente di più noioso e irritante - ha commentato Luigi Di Maio, uno dei leader dei Cinquestelle - dei partiti che passano il tempo a parlare di se stessi. Se al Pd non sanno fare altro che litigare, se ne vadano a casa, hanno scambiato il Parlamento e il governo per una riunione di condominio”.

Il ritorno della questione meridionale

Il Sud, un problema più che una risorsa per tutti i governi che si sono succeduti dal dopoguerra. In pochi hanno provato a mettere fine al divario economico-sociale del Paese. Il più delle volte lo Stato si è giocato la carta dell’assistenzialismo: fondi finiti con l’avvantaggiare le organizzazioni malavitose che, in molti territori del Mezzogiorno, rappresentano a tutti gli effetti le istituzioni.

Renzi, nel suo disegno riformatore, non ha mai posto l’urgenza di un intervento nei territori. È stato lo scrittore Roberto Saviano, napoletano doc, a sollevare l’allarme in una missiva indirizzata al premier: il Sud sta morendo. I dati dell’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, del resto, non lasciano spazio a interpretazioni: la disoccupazione ha eguagliato il picco negativo del 1977, la natalità il record infelice del 1860. Fotografia impietosa che non è bastata a stravolgere l’agenda politica del governo Renzi: le “priorità erano e restano altre”.

Il pensiero di chi non conosce la realtà

Il premier ha voluto rispondere a Saviano: “Sul Sud basta piagnistei, rimbocchiamoci le maniche”.

“È vero che il Sud cresce di meno - ha aggiunto - e sicuramente il governo deve fare di più ma basta piangersi addosso”. Critico il Popolo Viola: “Guardando all’ultima classifica de Il Sole 24 Ore di motivi per essere ottimisti, al momento, ve ne sono pochi”. “Per esempio - ha sottolineato il movimento - sulla qualità dei servizi pubblici che vedono tutte le regioni meridionali in coda: ultime Calabria e, dieci punti più sotto, la Sicilia”. “C’è un Mezzogiorno che sta morendo - ha sostenuto il numero uno di SEL, Nichi Vendola - un Sud d’Italia dove si concentra tanta parte della povertà del Paese, della disoccupazione, dell’assenza di prospettive per intere generazioni di giovani. E quel Sud non chiede prediche o battute o riunioni di propaganda, ma fatti e cioè politiche per l’occupazione, politiche per lo sviluppo, politiche per la salvaguardia ambientale”.