Il referendum per la riforma costituzionale in Italia è davvero paragonabile, in termini di peso specifico per gli equilibri dell’Eurozona, alla Brexit? C’è chi lo pensa e non lo manda a dire: è la voce dei principali quotidiani a stelle e strisce, a cui si aggiunge il coro della stampa in alcuni paesi europei, come la Spagna. L’Italia è un sorvegliato speciale e non solo perché il quesito referendario si avvicina, nonostante l’estate distragga gli italiani, ma soprattutto per il quadro generale di stallo che caratterizza l’economia del Belpaese.

Ecco quanto in due parole: se l’Italia non cresce, rallenta il ritmo dei vicini di casa e la sua fragilità acuisce l’ansia intorno ai principali appuntamenti nell’agenda politica, primo fra tutti il referendum.

Venti ostili soffiano sull’Italia: referendum controproducente?

Anche in caso di vittoria, Matteo Renzi potrebbe uscire più debole dal referendum. Come dire che il premier si stia dando la zappa sui piedi, o si stia scavando la fossa da solo. Fatto sta che è questo lo scenario, uno dei tanti possibili e immaginabili, disegnato dal New York Times, nella persona del “columnist” Neil Unmack. Secondo costui, non un Carneade tra gli osservatori esteri dell’Italia, “il referendum costituzionale – dice espressamente – potrebbe costare al primo ministro italiano il suo posto di lavoro, anche se vince”.

E perché? Secondo l’opinionista del NYT, in caso di vittoria del “Sì”, Renzi sarebbe più libero di implementare le sue riforme, effettuare investimenti ed efficientare il settore pubblico, elevandosi al livello delle politiche fiscali europee; di contro, però, se lo stessi Renzi non fosse in grado di imprimere una svolta all’economia, perderebbe consensi e terreno in vista delle elezioni politiche del 2018, a tutto vantaggio del Movimento 5 Stelle, che in caso di vittoria si ritroverebbe al governo del paese con un maggio raggio di e potere di azione, vista la fragilità del nuovo Senato.

Questo è il motivo per cui, secondo il NYT, M5S non si starebbe impegnando “troppo attivamente” per il fallimento del referendum. E quindi? Matteo Renzi è avvertito: o risana l’economia con una grande stimolo fiscale, anche contro gli interessi della Commissione europea, oppure finisce al capolinea. Tra i due estremi, tuttavia, c’è un novero di alternative su cui fanno leva la ragione e le acrobazie politiche di un premier che non vuole cedere il passo.

Promemoria sul referendum: quando e cosa

Da ottobre a novembre, sempre più in là. La data del referendum è sempre più un rebus e i maligni ci vedono una presa di tempo da parte del premier per ragioni di opportunità, più che necessità. Comunque sia, gli ultimi aggiornamento tirano in ballo, come possibili date, le ultime tre domeniche di novembre, o addirittura l’11 dicembre. Prima c’è da approvare la legge finanziaria e sarebbe sconveniente farlo dopo il referendum, se questo desse esito negativo per il governo. Come funziona il referendum? Non c’è quorum: si vota sì per appoggiare la riforma, non per bocciarla. E cosa prevede la riforma? In breve: la fine del bicameralismo perfetto, con il Senato tradotto in organo rappresentativo delle autonomie regionali, ridotto a 100 senatori non eletti dai cittadini; solo la Camera approverà le leggi e la fiducia al Governo; il presidente della Repubblica sarà eletto solo dalle camere in seduta comune; eliminazione del Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro; riforma del Titolo V della Costituzione, niente più materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni; per i referendum abrogativi il quorum sarà ridotto se la consultazione è proposta da ottocentomila cittadini, mentre per le leggi di iniziativa popolare si passerà dall’obbligo di cinquantamila a quello di centocinquantamila firme.