Il prossimo fine settimana, domenica 2 ottobre, si terrà in Ungheria il referendum voluto dal governo sul ricollocamento delle quote dei migranti deciso da Bruxelles a settembre del 2015.In quell’occasione i ministri degli interni dei paesi dell’Unione europea, riuniti in seduta straordinaria, avevano approvato il provvedimento a maggioranza qualificata dato che non era stato possibile raggiungere l’unanimità a causa dell’opposizione di tre membri del cosiddetto “gruppo di Visegrád” - Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria - e di quello della Romania, oltre all’astensione della Finlandia.
La risposta del governo ungherese
In risposta alla decisione di Bruxelles, il governo ungherese, guidato dal primo ministro Orbán, ha deciso istituire il referendum che si terrà la prossima settimana con il seguente quesito:“Volete che l’Unione europea disponga l’insediamento di cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del parlamento ungherese”.
Dal giorno della proclamazione del referendum le ONG presenti sul territorio hanno lanciato una campagna per il suo invalidamento, lamentano come la decisione del governo non offra una vera soluzione alla crisi dei rifugiati, neghi la solidarietà ai rifugiati e gli altri Stati membri, oltre al fatto che lo stesso quesito referendario non chiarisca quale legittimazione il governo stia chiedendo ai cittadini.
Un voto che desta preoccupazione
Le preoccupazioni per il voto di domenica si estendono oltre i confini nazionali. L’intera Europa assiste con angoscia da tempo alla deriva populista e xenofoba che il governo ungherese promuove.
Testimonianza diretta di tendenza è la campagna esplicitamente in favore del “no” promossa dal governo ungherese che ha tappezzato le città di slogan volutamente tendenziosi come “Dall’inizio della crisi dell’immigrazione più di 300 persone sono morte in Europa in attacchi terroristici”, oppure “Gli attentati di Parigi sono stati commessi da immigrati”, o ancora “Dall’inizio della crisi è aumentato notevolmente il numero delle violenze sulle donne in Europa”.
Letture faziose e accostamenti sconsiderati, dati in pasto alla gente in una campagna che, malauguratamente, sembra aver prodotto i suoi frutti.
In questi mesi infatti i sondaggi hanno visto crescere le proiezioni del “no” fino a toccare le plebiscitarie quote dell’84%, secondo alcuni giornali ungheresi, e relegando i “si” ad un mesto 10%.
La prova a cui sarà sottoposta l’Europa nel prossimo fine settimana si va a sommare così alle sfide - dalla Brexit all’ascesa dei partiti euroscettici e xenofobi - che stanno mettendo a dura prova la collaborazione tra i ventisette.