L’11 gennaio prossimo la Corte Costituzionale deciderà sull’ammissibilità dei tre quesiti referendari per i quali la Cgil ha depositato oltre 3 milioni di firme (guarda il video qui sotto). Eliminazione dei voucher, ripristino dell’articolo 18 e aumento delle responsabilità dei datori di lavori sono gli argomenti dell’eventuale referendum sul Jobs Act. La questione è stata portata alla ribalta due giorni fa dalla sconsiderata uscita del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il quale si è lasciato scappare che il governo cadrebbe e si andrebbe ad immediate elezioni proprio per evitare il referendum, considerato una sconfitta sicura per il renzismo.

Apriti cielo. Le opposizioni trovano subito una unità ‘repubblicana’ tra Fiom, Cgil, sinistra Pd, Forza Italia, destra e, naturalmente M5S i cui componenti della commissione Affari costituzionali alla Camera propongono oggi, con una nota scritta, un Election Day all’italiana per referendum ed elezioni politiche allo scopo di risparmiare 40 milioni e mettere nel sacco Matteo Renzi.

La proposta del M5S

Secondo alcuni retroscena riportati da Repubblica, il segretario Pd avrebbe definito una “rogna” il polverone sollevato dalle parole di Poletti e starebbe pensando al 25 giugno come data per le elezioni politiche, in modo da disinnescare un potenzialmente disastroso referendum sul Jobs Act. Nel suo partito la minoranza di sinistra chiede, con Roberto Speranza e Cesare Damiano, di rivedere almeno il sistema dei voucher.

A destra, Renato Brunetta scalpita: si lancia in un altro pronostico (“dopo il 60 a 40 finirà 70 a 30 per noi”) e rivendica la possibile alleanza con i rivali storici della Cgil in difesa della democrazia contro un politico come Renzi definito “eversivo”.

In questo quadro così frastagliato hanno gioco facile ad inserirsi i 5 Stelle.

“Basta correggere qualche riga e derogare, una tantum, alla legge generale, anche solo con un decreto - questa la proposta avanzata oggi - per consentire agli italiani di votare sia per le elezioni politiche che per i referendum”. In questo modo, aggiungono i membri della commissione, “risparmieremmo 400 milioni di euro garantendo il sacrosanto diritto di ogni cittadino di partecipare alle consultazioni referendarie”.

Comunque sia, i grillini ribadiscono la volontà di andare a votare il prima possibile, “immediatamente dopo la pronuncia della Consulta sulla legge elettorale, con la normativa attualmente in vigore, applicandola anche al Senato”. Il fatto è, affermano in conclusione della nota, che “questa maggioranza non ha più alcun riferimento col mondo reale, sarebbe disposta a indire elezioni pur di non subire un altro plebiscitario 'No', questa volta alle loro politiche sul lavoro” contenute nel Jobs Act.