I tirocinanti della giustizia italiana sono da sempre stati visti come risorse preziose per la loro utilità e la loro collaborazione all’interno delle strutture statali ma non sempre si figura una posizione favorevole per svolgere quella che poi sarà, di fatto, una vera e propria prestazione lavorativa. La validissima opportunità, offerta grazie all’art. 73 del D.L. 69/2013 convertito poi in leggi successive, prevede l’accesso ai diversi uffici per curare gli aspetti burocratici, giuridici e dibattimentali assistendo magistrati ed altre figure di ruolo.

Tuttavia, non mancano alcuni aspetti critici tali da sollevare le proteste di coloro che svolgono le prestazioni con l’inquadramento del tirocinio formativo.

Chi, quando e soprattutto...quanto?

Sono migliaia i giovani laureati che hanno presentato domanda in risposta ai diversi bandi pubblicati dalle istituzioni statali e sono sparsi lungo tutto il territorio nazionale tra Tribunali, Corti d’Appello, Procure della Repubblica, T.A.R. giungendo finanche in strutture penitenziarie.

Un tratto in comune a tutti i tirocini svolti in riferimento all’art. 73 che è stato uno dei più discussi riguarda l’inquadramento del tirocinante: non si tratta infatti, di un vero e proprio rapporto di lavoro, per il quale possano essere previsti contributi e retribuzioni.

Si tratta invece, di prestazioni svolte per coadiuvare la giustizia con la previsione di borse di studio mensili dell’importo di 400€.

Queste mensilità però (e qui arrivano le note dolenti) non sono corrisposte mensilmente ma si deve assistere ad un iter burocratico che coinvolge un insieme di organi dello Stato tra i quali il Ministero della Giustizia e la Corte dei Conti che sono chiamati ad approvare, di anno in anno, i decreti e i documenti necessari per gli accrediti ai tirocinanti.

Il problema di fondo, sollevato tra la massa degli “assistenti di giustizia”, non riguarda solo la tempistica - eccessivamente tirata fino allo stremo per fare in modo di ricevere l’insieme delle mensilità accumulate in un certo periodo - ma anche l’ammontare delle borse che non basterebbe a coprire tutti i costi che l’esperienza formativa potrebbe comportare.

Abbonamenti per i diversi mezzi, pranzi e cene fuori casa, assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (pagate addirittura dai tirocinanti privatamente): sono solo alcuni esempi di spese che potrebbero sostenere coloro che si avvicendano in questa carriera con la speranza di poter beneficiare dei vantaggi che il tirocinio comporta.

Una volta completati infatti, i 18 mesi previsti dal regolamento, si potrà ottenere un attestato di partecipazione - subordinato all’esito positivo dello stage - che costituirà titolo di partecipazione e accesso al concorso in magistratura, titolo di preferenza nei concorsi pubblici ed in quelli prettamente legati all’ordinamento giudiziario nonché valutato per un periodo di 1 anno di pratica forense o notarile.

Pratica forense: questa sconosciuta!

Proprio quest’ultimo è un ulteriore punto di frizione tra i tirocinanti dato che, in assenza di regole generali e chiare, ciascun Consiglio dell’Ordine degli Avvocati decide di adeguarsi autonomamente ai fini del riconoscimento del periodo di pratica sostitutivo svolto per il tirocinio.

A scapito delle diverse rivendicazioni, si continua a sostenere che i tirocinanti sono da considerare come una risorsa grezza da modellare per fare in modo che si possa proseguire la carriera giudiziaria e si riempiano gli uffici considerati vuoti e carenti di personale, ma i fatti sostengono decisamente altro, andando a rendere difficile ed in alcuni casi impossibile l’esperienza formativa a causa di sedi staccate, mansioni poco convincenti o ancora, orari impossibili. Per questi ed altri motivi, si spera in segnali forti che possano rivalutare queste “risorse” ed affidare loro i meriti per il lavoro che svolgono ogni giorno.