La débâcle clamorosa del Partito Democratico nei ballottaggi delle elezioni amministrative non poteva che far ripiombare il Centrosinistra in uno stato confusionale clamoroso. Il tutto contro tutti è ripartito infuocato dopo la tregua silenziosa ratificata all’indomani del primo turno. A finire sotto processo - ancora una volta - è Matteo Renzi, costretto a metterci la faccia dopo la sconfitta arrivata a pochi mesi di distanza da quella del Referendum Costituzionale, che provocò il ribaltone del governo da lui presieduto. Gli effetti questa volta non saranno così catastrofici ma non impediranno di aumentare quelle lacerazioni interne all’improvvisata coalizione, che risulteranno decisive soprattutto in vista delle urne nel 2018.

Le amministrative hanno confermato il trend che un po’ tutti avevano pronosticato alla vigilia sondaggi alla mano: la prossima sfida per Palazzo Chigi verrà disputata tra il Centrodestra del duo Berlusconi-Salvini e il Movimento5Stelle di Grillo. Ciò a dispetto della legge elettorale che, molto probabilmente, sarà costruita con un’architettura proporzionale che favorirà le alleanze e dunque la vasta area dei moderati.

La posizione scomoda

Il Partito Democratico si ritrova all’ennesimo bivio della sua breve e intensa storia: confermare il mutamento centrista indotto da Renzi o tornare a solcare i mari progressisti? La domanda che ai più può apparire scontata è invece il vero dilemma di chi frequenta il Nazareno.

Il segretario ha già rispedito ai numerosi mittenti l’accusa di aver frantumato l’identità originale del Pd. Un elenco variegato che parte da D’Alema e Prodi arriva a Speranza e Franceschini. La rivolta interna silenziosa (iniziata dopo l’analisi discutibile di Renzi sul risultato dei ballottaggi) non si è fermata ai personaggi illustri ma ha provocato già un mini terremoto nella base.

In Provincia di Lecce, infatti, ben 104 esponenti tra sindaci e consiglieri comunali hanno dato il benservito al PD confluendo in blocco in Articolo1-Mdp. A far bene intendere il magma che ribolle nel sottosuolo renziano una battuta di Ernesto Carbone su Franceschini: “Dario come sempre fiuta il vento e speriamo per lui che il suo naso sia quello di una volta”.

Vano è stato il tentativo del coordinatore della segreteria, Lorenzo Guerini, di riportare i litiganti alla calma. La tensione resta alle stelle.

Una Destra al galoppo

Dopo aver spodestato le cosiddette roccaforti rosse per eccellenza come Genova, Pistoia e Sesto San Giovanni, il Centrodestra ha ora in mano il comando delle operazioni. Un onere di non poco conto considerati i diversi punti di vista che permangono tra i capi di Forza Italia e Lega. Berlusconi e Salvini hanno ben capito di essere gli arbitri del loro destino, ma nessuno dei due appare convinto di mollare la leadership del Centrodestra. Una cosa è il territorio, un’altra è il governo. Senza un passo indietro convinto e condiviso di uno dei due potenziali candidati premier, il crescente consenso si sgretolerebbe come neve al sole.

I primi indizi non fanno certo propendere per una disponibilità all’intesa: Berlusconi, dopo il trionfo delle amministrative, ha sottolineato come il suo ritorno sulle scene politiche sia stato decisivo per le vittorie della coalizione; Salvini, da par sua, ha rivendicato i suoi cavalli di battaglia (lepenismo, lotta all’immigrazione, legittima difesa ndr) confermando l’intenzione di replicare il format in loop alle prossime elezioni. L’eccesso di personalismo del passato non tramonta mai, anche per un Centrodestra rinato dalle sue stesse ceneri.