Mancano tre giorni al g20 di Amburgo e non sarà un meeting qualunque. Passerà alla storia recente come il primo confronto tra Donald Trump e Vladimir Putin, quella 'strana coppia' che sembrava così idealmente vicina nei lunghi mesi della campagna per le presidenziali americane. Talmente vicina da generare un'inchiesta, il noto Russiagate, nella quale sarebbero stati evidenziati i tentativi del Cremlino di influenzare il risultato elettorale. Che poi Trump, in quanto presidente degli Stati Uniti, sia in qualche modo 'prigioniero' dell'establishment di Washington è un dato di fatto.

"Sarebbe bello se andassimo d'accordo con la Russia", aveva detto più volte il miliardario diventato presidente durante la campagna elettorale. Dopo i primi cinque mesi della sua amministrazione alla Casa Bianca, i rapporti tra i due Paesi non sono affatto migliorati, al contrario sono ai minimi storici del periodo post-guerra fredda. Le tensioni accumulate in Siria fanno temere tutt'ora il peggio, la linea rossa è stata tracciata e gli Stati Uniti non devono oltrepassarla. Teoricamente, una nuova azione militare - peraltro già minacciata - nei confronti del governo siriano potrebbe scatenare uno scontro tra le due superpotenze con esiti assolutamente imprevedibili. Come se non bastasse la crisi siriana, gli Stati Uniti riescono a creare attrito anche con l'altra superpotenza.

I colloqui fra Donald Trump ed il leader cinese Xi Jinping sono cordiali, ma le navi americane che attraversano acque contese che la Cina considera proprie vengono intrepretate come provocazioni e smentiscono palesemente un clima fintamente disteso. Ci sarà anche il presidente cinese ad Amburgo e, pertanto, alla luce di questioni internazionali molto complesse, è un G20 molto atteso.

Un'America che prova a mostrare i muscoli

Per alcuni Donald Trump è un pazzo, per altri semplicemente un incapace. In realtà nelle ultime prese di posizione della sua amministrazione non c'è traccia di follia o incapacità, anche perché qualunque strategia sia in atto, non è certamente il presidente americano a deciderla. Non perché sia Trump il presidente in questione, ma soltanto perché in un complesso sistema politico come quello statunitense, il capo dello Stato è un fondamentale ingranaggio di un macchinario molto più vasto.

La più grande potenza degli ultimi cento anni poggia le sue basi su determinate gerarchie politiche e, soprattutto, militari. Le stesse che ritenevano di poter dettare le proprie regole al mondo dopo il crollo dell'URSS e che oggi, clamorosamente, vedono indebolito il proprio prestigio a vantaggio del Paese che ha raccolto il testimone sovietico e da quello che ha saputo evolversi economicamente e socialmente non rinunciando, almeno sulla carta, al comunismo. L'asse Mosca-Pechino è forte e, soprattutto, gode di una vera intesa. Tra l'altro, giusto in questi giorni che precedono il G20, Vladimir Putin e Xi Jinping si incontrano a Mosca per discutere di cooperazione strategica tra i rispettivi governi e stipulare una serie di accordi bilaterali.

Non è il primo incontro e non sarà l'ultimo. Dinanzi a questi scenari poco promettenti, Washington sceglie ovviamente la via del dialogo, ma nel contempo non rinuncia a mostrare i muscoli. Da qui le minacce alla Siria che giungono per direttissima nelle stanze del Cremlino. Gli States non vogliono rinunciare a dire la propria sulla questione siriana, sono consapevoli che la soluzione politica si sta delineando su altri tavoli (in questi giorni si svolge anche il nuovo ciclo di colloqui ad Astana, ndr) e la cabina di regia è nelle mani di Putin. Washington non vuole rischiare certamente un conflitto con la Russia, ma è consapevole che quanto accade in Siria rischia di incrinare la propria forte influenza esercitata per anni in Medio Oriente.

I nodi verranno al pettine dopo la caduta di Raqqa, quando il problema Isis sarà eliminato, ma tutto lascia presagire ad una dura sconfitta politica degli Stati Uniti.

USA-Cina, la 'finta' amicizia

La situazione non migliora nemmeno dall'altra parte del mondo. Donald Trump è uscito politicamente sconfitto anche dal braccio di ferro con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un che non ha spostato di un centimetro la propria posizione indirizzata a sviluppare armi nucleari ed a minacciare in maniera sfrontata gli Stati Uniti. Washington è consapevole che la Corea del Nord non è l'Iraq ed un intervento militare volto a rovesciarne il regime potrebbe avere conseguenze disastrose. La Casa Bianca sa bene che a Pechino sono in possesso della chiave di volta per convincere Kim a rinunciare alle continue provocazioni.

La Cina però non ha alcuna fiducia nella politica americana, le sanzioni verso Pyongyang hanno visto protagonista anche Xi Jinping, il quale però non ha nessuna voglia di 'detronizzare' lo scomodo vicino. La presenza del piccolo Stato comunista è un'ottimo deterrente verso quella che potrebbe essere un'egemonia statunitense a pochi km dal confine cinese. Pechino non ama Kim Jong-un, preferirebbe sostituirlo con un leader più filo-cinese (lo sarebbe stato Jang Song-thaek, lo zio di Kim che quest'ultimo ha fatto giustiziare nel 2013), ma certamente preferisce il governo attuale ad una democrazia filo-americana come quella sudcoreana. Pertanto, Xi Jinping ha condannato i test missilitici nordcoreani, ha decretato sanzioni che non turbano più di tanto l'economia di Pyongyang, ma non è andato oltre.

Motivo per cui, Washington sta tentando in tutti i modi di esercitare pressioni sulla Cina per il superamento di questa soglia: dalle sanzioni contro banche ed aziende che starebbero supportando in qualche modo la Corea del Nord, ad accuse circa i traffici di esseri umani al confine cino-coreano. Dalla vendita di armi a Taiwan, nazione mai riconosciuta dalla Cina, al passaggio di un cacciatorpediniere (il secondo in poco più di un mese) nelle acque di Spratly che Pechino considera proprie. Abbastanza da rendere incandescente ciascuno degli oltre 11 mila km che separano Washington da Pechino.

Cosa aspettarsi dal G20

Le varie tematiche che saranno trattate ad Amburgo tra i leader delle 20 potenze economiche del pianeta, pertanto, passano in secondo piano rispetto al primo confronto tra Donald Trump e Vladimir Putin e dinanzi al nuovo incontro del presidente americano con Xi Jinping.

Ciò che si diranno, naturalmente, sarà reso noto solo in parte, l'impressione fin d'ora è quella di diffidare dalle strette di mano. Trump oggi sta mettendo in gioco parecchio della sua credibilità dinanzi ai nuovi equilibri che si stanno delinenando nel mondo e vedono Washington impotente, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. Sarebbe dunque pretenzioso, dinanzi all'imminente G20, attendersi qualcosa che vada al di là delle solite dichiarazioni di facciata. L'unica speranza è che nessuno sia così 'ardito' da oltrepassare le molteplici linee rosse globali, le conseguenze sarebbero imprevedibili e decisamente disastrose.