Complicare ciò che è già estremamente complicato. Sembra questa la missione di alcuni governi coinvolti più o meno direttamente nella crisi siriana. Le minacce della Casa Bianca rivolte al presidente siriano Bashar al-Assad potrebbero essere il prologo di una pericolosa escalation militare o, probabilmente, sono soltanto frutto esclusivo della propaganda di un presidente, Donald Trump, uscito malconcio dal confronto politico con la Corea del Nord. Le cose per lui non vanno meglio in Siria, dove la situazione lascia presumere ad una vittoria di massima - militare e politica - da parte dell'attuale governo di Damasco, orchestrata dall'abile regia di Russia ed Iran.

La tensione internazionale è però molto più alta rispetto allo scorso aprile, quando Trump ordinò l'attacco missilistico contro una base siriana e lo giustificò come "punitivo" nei confronti di un esercito e di un governo "responsabili della strage chimica di civili a Khan Sheikun". A parte le prove della colpevolezza di Damasco non sono mai state fornite, oggi però un attacco statunitense alla Siria determinerebbe il punto di non ritorno: la guerra contro Russia ed Iran.

Pentagono: 'Attività sospette presso la base di al-Shayrat'

Naturalmente Washington non ha fornito molti dettagli in merito a ciò che ha dato il via alle precise minacce nei confronti di Assad. Secondo il parere del Pentagono, "il presidente siriano è in procinto di sferrare un nuovo attacco chimico.

Abbiamo rilevato attività presso la base aerea di al-Shayrat (la stessa colpita dall'attacco punitivo americano) legate alle armi chimiche", ha dichiarato Jeff Davies, portavoce del comando militare USA. Non ha aggiunto altro, dunque nessun dettaglio su che tipo di attività possano aver fatto scattare l'allarme. Il ministro siriano per la rinconciliazione nazionale, Alì Haidar, ha risposto affermando che "Damasco non ha mai usato armi chimiche e mai le userà".

Il Cremlino in attesa

Per il momento Mosca mantiene un freddo atteggiamento diplomatico. Dmitry Peskov (e dunque Vladimir Putin, ndr) ha fatto sapere che "la dichiarazione di Washington su un possibile nuovo attacco chimico dell'esercito di Assad è priva di fondamento". Il vice ministro degli Esteri, Gennadiy Gatilov, si è spinto oltre dichiarando che "si tratta di speculazioni sostenute dal nulla, nessuno sta presentando prove di quanto affermato.

Se l'obiettivo è quello di aggravare le tensioni esistenti, è davvero inaccettabile. Gli Stati Uniti ostacolano gli sforzi di negoziazione compiuti ad Astana e Ginevra". Ancora più diretto Frants Klintsevich, vicepresidente della commissione del Consiglio Federale russo sulla difesa e la sicurezza. "Gli Stati Uniti hanno messo in atto una provocazione cinica senza precedenti e stanno preparando un nuovo attacco alle posizioni delle truppe siriane".

La Turchia prepara una nuova azione militare

Intanto ci sarebbero 'movimenti' in atto anche nel nord della Siria. Intervistato dal quotidiano russo 'Izvestia', il presidente turco Recep Erdogan si dice pronto a lanciare una nuova campagna militare, del tutto simile a quella denominata 'Scudo dell'Eufrate' che lo scorso agosto determinò lo sconfinamento dell'esercito di Ankara entro i confini siriani.

La motivazione era quella di attaccare le postazioni dell'Isis nella zona, allo scopo di mettere in sicurezza il confine. In realtà il martello turco si è abbattuto principalmente contro le milizie curde, per scongiurare quella che, agli occhi di Erdogan, è la minaccia più grande: la costituzione del Rojava (o Kurdistan siriano), il primo Stato indipendente curdo che sarebbe sorto al confine tra Turchia e Siria. "Se i processi in Siria saranno giudicati una minaccia per le nostre frontiere - ha dichiarato Erdogan - risponderemo come accaduto nel 2016. La Turchia non permetterà la creazione di uno Stato curdo in Siria, siamo pronti a lanciare un'altra campagna militare. Se necessario, su larga scala".

Quanto detto dal 'sultano', era stato anticipato in qualche modo dal premier Binali Yildirim lo scorso marzo. Il primo ministro aveva annunciato con soddisfazione il successo dell'operazione 'Scudo dell'Eufrate', sottolineando la possibilità di una nuova azione in presenza di "nuove minacce alla nostra sicurezza".