Continuano le proteste iniziate in questi ultimi giorni per le strade di Barcellona: nella mattinata di ieri corpi di polizia militare sono entrati nella sede del Governo catalano ed hanno tratto in arresto 14 persone, 10 delle quali sarebbero alti dirigenti locali. Il nome più illustre pare essere quello del braccio destro del vicepresidente dell'Esecutivo locale, Josep Maria Jové.

Ultimo atto di una repressione decisa da parte della monarchia costituzionale spagnola, durante un periodo già caratterizzato da partecipate manifestazioni per l'indipendenza della catalogna in vista dell'agognato referendum del 1° ottobre.

Un presidio di persone si è riunito sotto la Generalitat, scandendo cori ostili contro la Capitale ed i suoi rappresentanti, mentre le Forze dell'Ordine si sono schierate nel pomeriggio sotto la sede del partito indipendentista di sinistra CUP, in attesa di un mandato per effettuare un secondo blitz.

La tensione tra rimostranti e Policia, in assetto antisommossa per contenere eventuali tentativi di sfondamento del cordone di protezione, si è avvertita in modo quasi palpabile; ma non risulterebbero tuttora aggressioni o feriti tra le due parti.

Reazione del Governo: bloccate consultazioni e fondi, sequestrate le schede

Nel pomeriggio il Presidente Mariano Rajoy ha ribadito con fermezza che il referendum (già peraltro dichiarato illegale dal Tribunale Costituzionale madrileno) è un atto di sovversione contro l'unità della Nazione, e che reagirà per difenderla con ogni mezzo necessario, come farebbe ogni Stato al mondo.

Il rappresentante della Comunità catalana, Carles Puigdemont, ha parlato chiaramente di "deriva antidemocratica", ed ha auspicato una risposta popolare ferma e decisa, ma nei limiti della legalità. Si uniscono al suo appello l'intero Barcellona FC e rappresentanti politici ed istituzionali, tra i quali il sindaco del capoluogo Ada Colau e il segretario di Podemos Pablo Iglesias.

Le forze di Polizia e Gendarmeria della capitale avevano proceduto, nelle scorse due settimane, al sequestro di almeno 10 milioni di schede e 45.000 convocazioni pronte per l'apertura dei seggi in un magazzino a Bigues i Riell. L'autorità centrale madrilena avverte, secondo i secessionisti, il rischio di un esito positivo del referendum: il Sì si attesterebbe, leggendo le stime, intorno al 45%, contro il 38% a favore del mantenimento dell'attuale status quo.

Come sempre, l'ago della bilancia potrebbe attestarsi sulla posizione svelata all'ultimo momento dal 13% di elettori ancora indecisi: così si spiegherebbero le ritorsioni operate da Madrid, il cui Ministero delle Finanze ha proceduto di recente al blocco dei finanziamenti indirizzati alla Regione autonoma.

Cosa rischierebbe Madrid se il referendum dovesse essere comunque approvato

La Catalogna è la regione più florida economicamente tra tutte le Autonomie spagnole, con un residuo fiscale attivo di 8 miliardi di euro. Dal 2008, secondo il Registro mercantile, circa 8.000 aziende avrebbero spostato la sede fiscale nel capoluogo Barcellona, sebbene negli ultimi tempi si sia assistito dall'aumento della pressione fiscale in seguito alla dichiarazione degli intenti separatisti della Regione.

La medaglia presenta però un rovescio: pur producendo 1/5 della ricchezza spagnola, la regione starebbe perdendo un flusso costante di soldi a causa della delocalizzazione di un numero crescente di imprese: dal 2016, circa 2 miliardi di euro sarebbero usciti dal circuito produttivo catalano.

A tutt'oggi, comunque, non viene riscontrato in via unanime il rischio di una secessione dalla Spagna: secondo uno studio pubblicato dal Financial Times, i partiti indipendentisti non deterrebbero la maggioranza all'interno dell'Assemblea, necessaria per poter negoziare da una posizione di vantaggio il tanto agognato distacco da Madrid; tuttalpiù, Barcellona potrebbe chiedere maggiori spazi d'autonomia per contrastare l'incremento spaventoso del suo debito pubblico e ciò che questo comporta per i mercati internazionali.

La tensione continua, quindi, tra l'Esecutivo locale e Madrid; mentre serpeggia il timore per le reazioni della finanza al'esito delle consultazioni, che potrebbero far esplodere tensioni mai del tutto sopite fino al rischio di una guerra civile.