Il megafono si è spento, il trascinatore di piazza ha ceduto il testimone. La trasformazione del Movimento5Stelle in atto già da diversi mesi si è conclusa con l’addio di Beppe Grillo. Un percorso condiviso a detta del nuovo capo politico e candidato premier, Luigi Di Maio, che non poteva che provocare uno scossone importante. Il tutto a poche settimane dal 4 marzo, appuntamento che ora più che mai diviene un vero dentro o fuori per il M5S. Paradossalmente è proprio la prossimità alle elezioni politiche ad aver schiuso la porta a diverse interpretazioni sul passo di lato di Grillo.

Già all’atto della consegna del simbolo per le urne (quest’ultimo liberato dal vincolo con il suo storico blog), il volto del comico genovese era apparso piuttosto segnato. Con buona pace delle rassicurazioni del nuovo leader Di Maio, i Cinquestelle ne escono fatalmente indeboliti da questa svolta. Basti considerare la risolutezza di Grillo nello sbrogliare le matasse che apparivano compromesse, con il suo modo di catalizzare le responsabilità per distanziare altri (come Di Maio stesso) dal fuoco delle polemiche. A onore del vero il cofondatore del M5S, in più occasioni, aveva fatto intendere le sue intenzioni di lasciare il comando della giostra. Un disimpegno che, stando alle parole di Luca Eleuteri, dovrebbe coinvolgere prossimamente anche Davide Casaleggio.

Il calcolo politico

E se gli ultimi colpi di scena fossero un mero calcolo politico volto a incrementare i consensi già consolidati? È la provocazione che circola con una certa insistenza non solo sui Social Network, ma anche tra gli stessi attivisti che si sono fatalmente scissi tra favorevoli e contrari. Oggi che il grillismo è stato sulla carta archiviato, i Cinquestelle rispecchiano sempre più l’idea di un partito tradizionale.

Non è un caso che Di Maio abbia toccato già fatidici punti che nel passato recente avrebbero scatenato una vera e propria bagarre interna. L’apertura a incassare il sostegno parlamentare post urne è un messaggio chiaro: l’obiettivo è quello di governare il Paese anche se ciò significherà accettare compromessi tanto indigesti.

C’è chi parla di tradimento dei principi ispiratori del M5S ma la realtà è che oggi quel disegno è stato consegnato alla storia. Con l’addio di Grillo e con il disimpegno della Casaleggio Associati, il Movimento dovrà correre da solo e affidarsi in toto a quel giovane vecchio che ha già mostrato una inaspettata risolutezza in occasione del taglio dei candidati alle Parlamentarie. Anzi, Di Maio ci ha preso gusto e da capo politico non ha mai smesso di rivendicare il suo potere in questa prima tranche di campagna elettorale.

Tra dubbi e veleni

La metamorfosi improvvisa, quasi azzardata, non poteva che suscitare forti dubbi e accesi veleni. Di sicuro il M5S ha perso un’altra buona occasione per maturare sotto il profilo della trasparenza.

Andando poi ad analizzare i singoli fatti si finisce col prendere in prestito la celebre massima di Papa Pio XI, poi usata da Giulio Andreottia pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”. La rinuncia di Alessandro Di Battista a ricandidarsi e l’uscita di scena di Grillo privano i Cinquestelle delle sue due menti più intransigenti. Quelle che per intenderci non avrebbero mai fatto un accordo con i tanto odiati partiti tradizionali. Un altro esempio della diversità di vedute tra i diretti interessati è il metodo con cui si è scelto di condurre la battaglia politica. La vecchia gestione Grillo-Casaleggio ha aperto solo in un secondo momento alla TV, credendo che fossero le piazze il vero cuore pulsante dell’elettorato.

Di Maio ha cambiato anche questa prospettiva visto che è impegnato a tempo pieno a occupare le poltrone dei talk show sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi competitors. Attenzione però al verdetto del 4 marzo: se Di Maio dovesse fallire, ecco che tutto potrebbe clamorosamente rivoltarglisi contro. Grillo e Di Battista, dietro le quinte, non aspettano altro.