La quadra Politica composta per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato poteva, e per certi versi doveva, passare anche per un futuribile Esecutivo a guida centrodestra-M5S. L’asse tra salvini per il Centrodestra, e Di Maio per i Cinquestelle, ha retto ed il duo Alberti Casellati-Fico ha spiccato il volo con l’elezione rispettivamente a Palazzo Madama e Montecitorio. Per il Governo i personalismi però non cadono. Di Maio si impunta: “Il premier devo essere io”, risponde Salvini: “Io sono pronto a fare un passo indietro”, e soprattutto “Nessun veto su Berlusconi o non se ne fa niente”.
Morale della favola è che il capo leghista non intende disgregare il Centrodestra per un solo motivo: porta in dote un 37% elettorale contro un 32% dei Cinquestelle che sono pur sempre il primo partito e quindi il primo gruppo parlamentare alla Camera e al Senato, ma si scontrano con il blocco azzurro che Salvini intende mantenere compatto proprio per alzare al livello massimo il prezzo sul tavolo di qualsiasi trattativa, con o senza Cinquestelle.
Ed è proprio la posizione intransigente di Di Maio che blocca tutto. Se non cade il veto su Berlusconi, punto principale posto da Salvini per una trattativa avanzata, e se non cade anche la forzatura sul nome di Di Maio alla presidenza del Consiglio dei Ministri, finirà con un “Arrivederci”, come scritto da Salvini.
Ed è per questo che Di Maio già dal pomeriggio di mercoledì cerca di ricucire contatti con il Pd che solo ufficialmente pare avere archiviato l'esperienza targata Matteo Renzi: una pressione e presenza politica che l'ex segretario ha fatto sentire fin dalla scelta dei capigruppo e ha fatto sentire ancora tutto il suo peso tra i deputati e soprattutto tra i senatori.
Motivo: con un concorrente “minore”, elettoralmente e sul piano parlamentare, il grillino si troverebbe in una indubitabile posizione di forza e potrebbe reclamare per sé il ruolo di primo attore a Palazzo Chigi, lasciando in ultima istanza l’intero Centrodestra clamorosamente all’opposizione.
Una prospettiva, quest'ultima, cui Di Maio sembra non intenda rinunciare in nessun caso, per il semplice motivo che l’elettorato dei Cinquestelle non ammetterebbe il coinvolgimento del movimento in un Esecutivo in cui lo stesso movimento non rappresenti una posizione di leadership prevalente. L’ultima parola spetta al Capo dello Stato, che ovviamente non consentirà che i capricci del giovane leader pentastellato passino rispetto alle prerogative chiare ed ineluttabili della Costituzione.