Il dado è tratto. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto ieri al Quirinale il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, inaspettatamente a seguito di un preliminare ed ulteriore incontro con i leader delle rispettive forze che contribuivano alla maggioranza parlamentare - sia pure ancora virtuale - del Governo gialloverde a guida Lega-M5S. Tutto precipita con l'impuntatura di Matteo Salvini sul nome di Paolo Savona, economista dalle vedute scettiche sull'Europa e teorizzatore in passato dell'uscita dell'Italia dall'Unione Europea per mano di un non meglio precisato "Piano B".

Il Quirinale, di risposta, si impunta anch'esso. Finisce con un gioco al massacro istituzionale quando, a seguito dell'ultima consultazione, Conte esce davanti ai cronisti alla Vetrata e spiega di avere rimesso il mandato nelle mani del Capo dello Stato, non dopo avere ringraziato i capi delle forze politiche che su di lui avevano concentrato le proprie volontà. Morale: non c'è nessun Governo, tutto cade sul nome di un ministro.

Mattarella dice "No"

Dopo pochi minuti, Sergio Mattarella in persona prende parola dinanzi al Paese e spiega di non avere potuto fare a meno di fermare chi poneva un diktat sul nome del ministro all'Economia, precisando anche che in ogni passaggio aveva chiesto ai leader di Lega e M5S di voler riservare la possibilità di una più accurata scelta su alcuni nomi del Consiglio dei Ministri.

Si fa cenno anche alla Costituzione, che affiderebbe al presidente della Repubblica pieni poteri circa l'individuazione dei componenti del gabinetto del premier. All'uscita di Mattarella dalla sala stampa, i primi a parlare sono Di Maio e Salvini. Il primo non si trattiene, sventolando il tradimento della Costituzione e per questo proponendo la messa in stato di accusa del presidente della Repubblica per alto tradimento.

Gli fa eco la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, che sostiene la posizione del M5S circa l'impeachment del Quirinale. Matteo Salvini su questo è più cauto, mostrando comunque tutta la sua irritazione durante una diretta Facebook.

La verità sta tutta dalla parte dei detrattori del presidente della Repubblica, sia pure in alcuni frangenti la Costituzione potrebbe prestarsi a mirabolanti interpretazioni.

Nello specifico, l'articolo 92 della Carta Costituzionale recita testualmente: "I ministri sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri". Non vi è alcun riferimento a ulteriori prerogative del Capo dello Stato circa la discrezionalità sui nomi proposti dal presidente del Consiglio dei Ministri incaricato. A tal proposito, sono significativi i contributi che vengono esternati da eminenti giuristi che concordano su tali tesi. Uno dei tanti, nelle ultime ore, del già consigliere dell'Ordine Forense di Catania Antonino Ciavola che su Facebook scrive: "Mattarella poteva fare ricorso alle proprie facoltà di moral suasion, di dissuasione e di suggerimento, non porre un veto per ragioni ideologiche alla lista dei ministri di Giuseppe Conte".

A ragion veduta, è esattamente quello che fecero alcuni dei predecessori di Mattarella. Lo fece Oscar Luigi Scalfaro che si rifiutò di nominare alla Giustizia l'avvocato personale di Silvio Berlusconi in un Consiglio dei Ministri da lui presieduto. Ma non in quanto avrebbe potuto condurre interessi personali dell'allora premier in seno al Governo, ma in quanto gravavano su di lui precedenti penali. Lo fece Carlo Azelio Ciampi che si rifiutò di nominare Roberto Maroni sempre alla Giustizia (andò agli Interni), suggerendo un altro leghista quale Roberto Castelli. E più recentemente, Giorgio Napolitano sconsigliò a Matteo Renzi di indicargli come ministro il procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri in base alla regola non scritta secondo cui un magistrato in servizio non può essere incaricato alla Giustizia.

Il Governo si schianta su Savona

La mancata nomina di Paolo Savona (secondo l'indicazione della Lega), invece, non viene motivata dal Capo dello Stato con più articolate argomentazioni e controprove a riguardo. Savona, economista di lungo corso che fu presidente di Confindustria e che iniziò la carriera in Banca d'Italia, ha da sempre manifestato la sua personale posizione scettica su Unione Europea ed Euro. Ed il fatto che fosse fatto circolare il suo nome sulla stampa anche internazionale ha messo inspiegabilmente in agitazione le Cancellerie europee. Scriviamo inspiegabilmente, da questo modesto ma significativo osservatorio, perché nel contratto di Governo siglato da Lega e M5S non vi è alcun passaggio sull'uscita dall'UE o dall'Eurozona.

Ed anche l'incaricato Giuseppe Conte si è affrettato a spiegare in ogni intervento pubblico quanto fosse importante la permanenza dell'Italia nell'Unione.

A questo si aggiungano le dichiarazioni di due giorni fa dello stesso Savona, che per rasserenare il clima, e per favorire un più rapido insediamento del Governo, ha diramato una breve nota in cui ha scritto riferendosi proprio alla base programmatica sottoscritta da Salvini e Di Maio: "Anche per le preoccupazioni espresse nel dibattito sul debito pubblico e il deficit, il riferimento d’obbligo è il paragrafo 8 di pagina 17 del Contratto in cui è chiaramente detto che “L’azione del Governo sarà mirata a un programma di riduzione del debito pubblico non già per mezzo di interventi basati su tasse e austerità – politiche che si sono rivelate errate ad ottenere tale obiettivo – bensì per il tramite della crescita del PIL, da ottenersi con un rilancio della domanda interna dal lato degli investimenti ad alto moltiplicatore e politiche di sostegno del potere di acquisto delle famiglie, sia della domanda estera, creando condizioni favorevoli alle esportazioni".

Conclude Savona nel suo comunicato: "Voglio un'Europa diversa, più forte ma più equa". Parole condivisibili, che rivedono le posizioni di chi sospetta già il titolare dell'Economia come in rotta di collisione con l'Eurogruppo.

Travalicata la Costituzione?

Tutto questo non è servito. Il presidente della Repubblica ha parlato chiaramente agli italiani sbandierando l'aumento dello spread, il pericolo per i risparmi dei cittadini e avocando a sé poteri che la Costituzione - così espletati - non gli assegna. Il presidente ha accolto una maggioranza parlamentare costituzionalmente legittima, ha nominato un presidente del Consiglio che si è posto come interlocutore affidabile e rassicurante, sia pure fosse considerato niente più che un portavoce delle posizioni di vertice dei partiti della virtuale maggioranza.

Tutto salta per un pregiudizio intellettuale, per una aprioristica diffidenza nei confronti di un uomo quale Paolo Savona (e di chi lo ha indicato, ovvero Matteo Salvini) che nei fatti travalica le prerogative quirinalizie. La pensa così anche Costantino Mortati: giurista, costituzionalista e accademico annoverato fra i più autorevoli giuristi italiani del XX secolo, autore del noto testo giuridico "Istituzioni di Diritto Pubblico I" edito nel 1967. Perfino cinquantanni orsono, uno tra i più fini costituzionalisti di questo Paese scriveva che: "(...) L'avere condizionato la nomina dei ministri alla proposta del presidente del Consiglio (che deve ritenersi strettamente vincolante per il Capo dello Stato), è pura e semplice applicazione del principio di supremazia conferita al medesimo; e della responsabilità a lui addossata per la condotta Politica del gabinetto: responsabilità che, ovviamente, non potrebbe venire assunta se non potesse giovarsi, per il concreto svolgimento della medesima, di un personale di sua fiducia".

Ed è già pronto un nuovo incarico: è convocato per oggi il primo incontro del Capo dello Stato con Carlo Cottarelli, economista per molti anni al Fondo Monetario Internazionale, più recentemente commissario italiano alla spending review. Il voto adesso è più vicino.