Siamo già in campagna elettorale, certificata dalle ultime dichiarazioni fuoriuscite dal calderone delle forze politiche che, in questi due mesi che sono trascorsi dal voto del 4 marzo, non sono state in grado di formare un governo. Facendo il paragone con il calcio, l'autogol è più che clamoroso, ma sorge spontanea una domanda: messi da parte i proclami, M5S e Lega hanno davvero qualcosa da dire agli italiani? Forse Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovrebbero semplicemente allargare le braccia ed avere la sincerità di ammettere che non è possibile costituire un governo.

E, dunque, alla fine la vera mossa del cavallo è stata quella di Matteo Renzi che non intende entrare in questa matassa. Il voto degli italiani ha bocciato il partito che ha governato il Paese nell'ultimo quinquennio e l'ex premier ha ragione da vendere su un concetto a lungo ribadito: "Fare il governo spetta a chi ha vinto le elezioni".

I cari, vecchi ed abusati cavalli di battaglia

Non crediamo sia necessario evidenziare che, se l'Italia non ha ancora un governo dopo 60 giorni dal voto, la colpa non è dei migranti o dell'euro. Ma considerato che le ultime due campagne elettorali, quella del referendum costituzionale e quella per le Politiche, hanno davvero toccato i più infimi recessi dello squallore culturale di cui è preda, purtroppo, una parte degli italiani (non è ancora la maggioranza, per fortuna), forse è bene sottolineare il concetto.

Certe brodaglie populiste a quanto pare non stancano mai. La solita minestra scotta, nella circostanza, è partita da Matteo Salvini che ha risposto con il suo consueto stile al premier Paolo Gentiloni. Quest'ultimo, presente a Genova al festival di Limes sui migranti, ha sottolineato che "l'Italia ha bisogno dei migranti, ma con un flusso sicuro".

"Chiamate un medico", ha scritto Salvini in un post. "Salvini chieda agli imprenditori del Nordest", ha replicato Ettore Rosato (PD). Sul fronte del M5S non è Di Maio a rispolverare dalla naftalina l'euroscetticismo, ma il 'guru' Beppe Grillo che sul blog rilancia uno dei vecchi temi cari al Movimento, il referendum sull'euro.

Per quanto riguarda l'attuale leader e candidato premier, viene invece sottolineato che "ogni forma di governo che non vede la leadership del M5S è un tradimento del voto popolare" e le alternative sono gli "inciuci" e gli "attaccamenti alle poltrone". Chiamarli "contratti di governo" o addirittura "forni" magari li rende meno negativi nel lessico, ma tali sono: alleanze o compromessi che vedevano il Movimento pronto a sotterrare l'ascia di guerra con il PD pur di avere i numeri per una maggioranza. Dunque, la marea populista si appresta a rompere nuovamente gli argini e la battaglia si combatte sui social network, lasciando poi nelle apposite sedi una parvenza di istituzionalità. Quest'ultima dovrebbe essere la prassi, la normalità di chi ha vinto le elezioni e vuole davvero costruire un esecutivo per il bene del Paese.

Ma nella Politica italiana di questa annunciata ed ancora ibrida Terza Repubblica non c'è nulla di normale.

Salvini è coerente, il M5S lascia perplessi

Possiamo anche non essere d'accordo con proclami e programmi di Matteo Salvini, ma gli riconosciamo comunque una linea politica. Nel caso di Di Maio, al contrario, siamo quantomeno perplessi, ma a tutto c'è una spiegazione. Le due forze politiche soggette al maggiore tasso di crescita alle urne hanno una storia diversa: nel caso della Lega, Salvini persegue ormai da anni l'obiettivo di trasformare un movimento secessionista in un partito di ultradestra ed alla luce di una crescita di consensi anche nel Mezzogiorno, ha centrato il suo obiettivo.

La Lega in fin dei conti è un partito che ha recitato un ruolo importante nella Seconda Repubblica, è stato al governo in passato ed oggi sta raccogliendo i frutti di una paziente ricostruzione dalle macerie lasciate da Umberto Bossi. Pertanto, la linea che percorre Salvini, sebbene oggi sia come i cavoli a merenda nell'attuale caos post-elettorale, è quella consueta. La metamorfosi del M5S, viceversa, è ancora in corso: Luigi Di Maio è stato incoronato leader proprio perché era il più politico dei delfini di Beppe Grillo, ma oggi paga le eterne contraddizioni del Movimento. Il candidato premier pentastellato deve scegliere tra un profilo istituzionale, quello di un politico che aspira a diventare presidente del Consiglio dei ministri, o proseguire con il suo megafono di piazza che sembrava aver messo da parte.

Ma, forse, questo è semplicemente il modo in cui entrambi i leader stanno dicendo agli italiani che non c'è davvero nient'altro da dire e, ambedue, sono pronti a rituffarsi nel clima della campagna elettorale.

L'ultimo round di consultazioni

Ad ogni modo, sta per partire l'ultimo giro di consultazioni al Quirinale, finora i precedenti sono stati utili ai giornalisti per riempire pagine di carta stampata e web, ma perfettamente infruttuosi per quello che è il loro fine. Facile fare il riassunto delle puntate precedenti: Di Maio è disponibile a fare un governo con la Lega, ma non con un centrodestra unito che prevede la presenza di Silvio Berlusconi. Salvini è disponibile a fare un governo con il M5S, ma insieme a Berlusconi ed a tutto il centrodestra che è stata la coalizione più votata.

Di Maio ha aperto il 'secondo forno' con il PD, qualche esponente di quest'ultimo partito ha controllato il prezzo della farina, ma l'ex titolare della panetteria non ha alcuna intenzione di aprire un'attività con gli acerrimi rivali. Matteo Renzi ha mostrato coerenza e, considerato che ha ancora la maggioranza del PD dalla sua, è riuscito a tenere unito il partito in direzione, salvo le critiche di qualche leader di minoranza che, però, non possiede i numeri per opporsi all'ex premier. In mezzo a questo garbuglio intravediamo due vie: la prima è quella di un governo istituzionale che, quantomeno, metta mano alla riforma elettorale perché se si vota nuovamente con il Rosatellum, si rischia lo stesso guaio del 4 marzo.

La seconda è quella di tornare al più presto alle urne: il Presidente della Repubblica preferirebbe non arrivare a questa alternativa che certificherebbe il fallimento di tutti, ma tanto la Lega quanto il M5S si oppongono ad un governo di transizione o tecnico che dir si voglia. Possibilista in tal senso Matteo Renzi che aveva parlato di "un governo di tutti per approvare le riforme, tra cui quella elettorale". Al voto anticipato si oppone anche Silvio Berlusconi. "Allontanare il voto è una priorità per il Paese", ha detto il leader di Forza Italia. Se proprio dobbiamo dirla tutta, è anche una priorità per il Cavaliere, sempre in attesa della sentenza della Corte Europea sulla sua candidabilità. Ed in mezzo a questo tramestio, più che un governo servirebbe uno psichiatra.