Quando si è parlato di “Governo della discontinuità” tutti coloro che sostengono le lotte per i diritti degli immigrati si sono illusi: hanno iniziato a pensare che la gigantesca opera di demonizzazione dell’immigrazione e di compressione dei diritti fosse destinata a venire superata. Purtroppo, pare non essere vero: ancora una volta la proposta dello ius culturae – presentata nel 2018 dalla Polverini – trova ostilità e contraddizioni in seno alla maggioranza. Viene da chiedersi cosa sia la cittadinanza italiana, quali insostituibili caratteristiche possieda chi nasce italiano, che non siano in possesso di chi vive, studia, lavora qui da anni.
Cittadinanza e cultura
La cittadinanza è evidentemente un fatto culturale: riconoscersi nelle leggi di quell’ordinamento giuridico, parlare la lingua ufficiale di quello Stato, conoscere la cultura di quel popolo. Nei giorni scorsi il pentastellato Giuseppe Brescia (vicino al Presidente della Camera Roberto Fico) ha rilanciato la proposta, già tradita nella legislatura, di introdurre nell’ordinamento italiano, lo ius culturae. In realtà, in Parlamento esiste anche un’altra proposta, a firma Boldrini, sullo ius soli (è cittadino chi nasce nel territorio dello Stato), ma essa sembra essere fuori discussione. L’attuale normativa ha per base lo ius sanguinis che prevede l’acquisizione della cittadinanza italiana alla nascita per via del rapporto di discendenza da cittadini italiani (è cittadino italiano chi ha genitori italiani), oltre alle ipotesi di naturalizzazione e di matrimonio.
Attraverso lo ius culturae, invece, si vorrebbe attribuire il diritto di cittadinanza in relazione al completamento di un ciclo scolastico, permettendo così a chi ha seguito un percorso di istruzione nelle scuole italiane di divenire a tutti gli effetti parte della realtà (sociale, linguistica, relazionale) in cui si è preparato a vivere.
Lo stop di Di Maio
Il rilancio della proposta proviene dall’ala sinistra del Movimento e il neo-Ministro 5 Stelle Fioramonti si è detto favorevole, ma è già arrivato lo stop da parte del capo politico dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, che ospite da Giletti, ha definito la questione come “non prioritaria”, prendendo tempo e rifuggendo la responsabilità di una posizione definitiva.
È evidente il timore di subire il feroce attacco della destra (Giorgia Meloni già promette le barricate) e di perdere slot elettorali.
Il precedente: quando i 5 Stelle affossarono lo ius soli
Era già successo nel 2017 quando i senatori 5 Stelle non si sono fatti trovare in aula, così che mancasse il numero legale per votare sullo ius soli (temperato), già passato alla Camera nel 2015, a cui mancava solo l’approvazione del Senato. Il timore di assumere posizioni impopolari alla vigilia delle elezioni politiche di marzo ebbe la meglio e portò alla scelta irresponsabile di tirarsi indietro all’ultimo. Peccato. Il 3 ottobre parte la discussione parlamentare sullo ius culturae. Speriamo che stavolta le cose vadano diversamente, anche perché lo spauracchio delle elezioni appare tanto più lontano quanto più Pd e 5 Stelle riusciranno a costruire qualcosa insieme.
Se l’attività delle istituzioni dovesse arenarsi davanti a una serie di veti reciproci allora sì che le elezioni diverrebbero imminenti. Secondo i dati della fondazione Leone Moressa sono 166 mila i ragazzi, ora stranieri, che potrebbero beneficiare della legge sullo ius culturae e divenire cittadini italiani. Sarebbe responsabile non deluderne le aspettative. Anche perché l’inseguimento di Salvini sulla via della compressione dei diritti (vedi decreti sicurezza) finora non ha portato bene.