Un'indagine che potrebbe avere conseguenze imprevedibili si apre negli Stati Uniti , con al centro le elezioni presidenziali del 2016 e una rete di accuse che, a distanza di quasi un decennio, torna a generare tensione. Dopo le dichiarazioni di Tulsi Gabbard, attuale direttrice dell’intelligence nazionale, un procuratore — la cui identità non è stata resa nota — è stato incaricato di valutare possibili elementi per l’incriminazione di figure centrali dell’amministrazione Obama. L’indagine, che secondo fonti istituzionali è ancora in una fase preliminare, riguarda le basi e le modalità dell'inchiesta che stabilì le responsabilità russe nell’interferenza elettorale a favore di Donald Trump.

L'accusa di 'alto tradimento'

È stata proprio Gabbard ad accusare formalmente Barack Obama di “alto tradimento”, coinvolgendo anche l’ex direttore della CIA, John Brennan, e l’ex capo dell’FBI, James Comey.

“La narrazione sulla collusione russa – ha dichiarato – è stata costruita su premesse che sapevano essere infondate”. Secondo la direttrice, alcuni documenti recentemente desecretati dimostrerebbero che l’amministrazione Obama era consapevole dell’assenza di hackeraggi sulle macchine elettorali, contrariamente a quanto sostenuto pubblicamente all’epoca.

La reazione di Trump non si è fatta attendere. “La VERITÀ vince sempre. Questa è una grande notizia”, ha scritto su Truth Social, commentando l’avvio dell’inchiesta con l’enfasi tipica della sua comunicazione. Già da tempo, l’ex presidente aveva definito le indagini dell’epoca “una caccia alle streghe”, e recentemente ha rilanciato le accuse pubblicando un video generato dall’intelligenza artificiale in cui Obama viene mostrato in manette.

A preoccupare, però, è il contesto in cui tutto questo avviene. La mossa del procuratore — voluta dal ministro della Giustizia, Andrew Bondi — solleva interrogativi sull’uso della giustizia federale come strumento politico. “Si tratta di una distrazione”, ha commentato un portavoce di Obama, sottolineando come l’ex presidente non abbia mai sostenuto che i russi fossero riusciti ad alterare i voti, bensì che avessero tentato di influenzare il clima politico con altre forme di interferenza, come la diffusione di email del Partito Democratico e campagne di disinformazione sui social.

La nuova inchiesta si intreccia con le rivelazioni del senatore repubblicano Chuck Grassley, presidente della Commissione Giustizia del Senato, che ha reso pubbliche alcune email già esaminate nel 2020 dal procuratore speciale John Durham.

Uno dei messaggi, attribuito a un alto funzionario di una fondazione legata a George Soros, suggeriva che Hillary Clinton avesse autorizzato un piano per legare Trump alla Russia. Tuttavia, lo stesso Durham aveva indicato che l’autenticità del documento era dubbia, ipotizzando che si trattasse di “un miscuglio di email” manipolate da hacker russi a scopi di disinformazione.

Scavare nel passato, in vista delle elezioni future

Il rapporto di Durham — prodotto sotto l’amministrazione Trump — aveva già segnalato gravi errori procedurali da parte dell’FBI, ma non aveva smentito l’esistenza di tentativi russi di influenzare le elezioni. I tre casi giudiziari nati dalla sua inchiesta si erano conclusi in modo marginale: due proscioglimenti e una condanna per falsa testimonianza di un avvocato dell’FBI.

Sullo sfondo rimangono forti dubbi sulla reale portata di queste nuove accuse. L’assenza, finora, di prove sostanziali e l’insistenza nel riportare al centro del dibattito le vicende di quasi 10 anni fa, alimentano la sensazione di un’operazione politica in vista delle prossime elezioni di mid term. Gli osservatori parlano di un clima sempre più polarizzato, in cui l’azione della magistratura rischia di essere letta attraverso lenti partigiane, piuttosto che giuridiche.

Resta da vedere se il nuovo procuratore sarà in grado di presentare elementi tali da convincere la giuria popolare incaricata di valutare l’opportunità di procedere con incriminazioni. Nel frattempo, mentre il caso Epstein continua ad alimentare scandali e interrogativi, la strategia di Trump sembra orientata a recuperare terreno sul piano della legittimazione politica, rilanciando l’idea di essere stato vittima di un complotto orchestrato ai più alti livelli.

Per ora, la “vendetta” si traduce in un’indagine aperta, ma l’effetto più evidente è quello di riportare l’attenzione pubblica a un passato che continua a dividere e a infiammare il dibattito politico americano.