Si tratta di unarara forma di leucemia che si manifesta all’improvviso e che, grazie ai progressi della ricerca in campo medico e farmacologico, può essere curata in una percentuale che supera il 90% dei pazienti, arrivando alla guarigione completa. Unica condizione è la diagnosi precoce.

Solo 150 casi l’anno

La Leucemia Acuta Promielocitica (Lap), descritta per la prima volta alla fine degli anni ’50 da un medico norvegese (Leif K. Hillstad) che la definì come “la forma più maligna di leucemia acuta”, viene annoverata tra le patologie rare in quanto vengono registrati solo pochi casi ogni 100.000 abitanti.

Nel caso della Lap, ogni anno, in tutta Italia, vengono segnalati solo 150 casi.

Fino a qualche anno fa la diagnosi era il preludio di un destino infausto. “Ora”, dice Giuseppe Rossi - Direttore della Struttura Complessa di Ematologia e Dipartimento di Oncologia Clinica dell’AsstSpedali Civili di Brescia – “la Leucemia Acuta Promielocitica (Lap) è una patologia che può essere curata”.

Continua Rossi: “si raggiungono guarigioni fino al 90% dei pazienti, e questo grazie alle recenti scoperte scientifiche per le quali è stato fondamentale il contributo della ricerca italiana e in particolare del Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell'Adulto (Gimema), fondato dall'ematologo Franco Mandelli”.

Questa rara leucemia si manifesta all’improvviso, con una grave sintomatologia emorragica dovuta alla presenza di un ridotto numero di piastrine e all'alterazione dei meccanismi della coagulazione.

Una minima percentuale di pazienti (10-20%) non riesce ad arrivare alla diagnosi a causa di emorragie fatali (es. cerebrali).

L’armamentario dell’ematologo nel caso della Lap

Quando un paziente a cui viene diagnosticato la Lap arriva in corsia, trova a disposizione un armamentario terapeutico assolutamente efficace. Parliamo di farmaci mirati che agiscono su bersagli specifici del tumore.

Inoltre, la terapia farmacologia è associata a trattamenti tecnologicamente avanzati come la trasfusione di concentrati piastrinici ed altri emoderivati come il plasma fresco congelato.

Non sempreè statocosì. Risale a pochi anni orsono, la possibilità di curare questi pazienti senza ricorrere alla chemioterapia, almeno per i casi meno gravi.

E questo grazie alla combinazione di acido retinoico e triossido di arsenico. I primi risultati, di questa terapia in combinazione, furono pubblicati nel 2013, su New England Journal of Medicine. Fu una ricerca pioneristica coordinata da ricercatori del nostro Paese, che ha visto coinvolti 40 centri in Italia e 27 in Germania.

Dopo tre anni, l’esperienza clinica ha potuto consolidato questi dati. “Tuttavia”, precisa il Dr. Francesco Lo Coco, ordinario di ematologia del Dipartimento di Biomedicina e prevenzione dell’Università Tor Vergata di Roma, “è fondamentale diffondere una sensibilizzazione verso questa leucemia in quanto la sua identificazione, in tempi rapidi, e in centri di riferimento esperti e attrezzati, è il modo migliore per gestire con successo l’esito clinico della patologia.