Soprattutto in tempi recenti si è sentito parlare della sindrome di "hikikomori", che letteralmente vuol dire "stare in disparte, isolarsi". Nata in Giappone negli anni '80, si sta pian piano diffondendo in Italia, specialmente tra i giovani adolescenti di età compresa tra il 13 e i 15 anni, i quali preferiscono rintanarsi in camera, tagliando ogni rapporto con la società circostante, quindi interrompendo anche il percorso scolastico.

Di diversa natura sono le cause che portano un giovane affetto da tale sindrome a barricarsi nella propria stanza, come la mancanza di una figura paterna, l'eccesso di una protezione materna, la continua attenzione (insita nella società giapponese) all'autorealizzazione e al successo personale, ma non è da escludere l'eccessiva dipendenza dal web, che è capace di incatenare davanti al computer un numero sempre più ampio di giovani.

Secondo la psichiatra Sonia Biscontini, vi sarebbero anche altre cause da aggiungere, come quando un adolescente prova a confrontarsi con i suoi pari e riceve atti denigratori o, peggio ancora, finisce con l'essere vittima di bullismo: per questo motivo potrebbe reagire innescando un atteggiamento di autodifesa, chiudendosi in se stesso.

I segnali d'allarme vengono lanciati dal portale Umbria24, denunciando tale sindrome che già dall'inizio del 2016 hanno cominciato a manifestare segnali di isolamento dal mondo reale, smettendo di frequentare la scuola e addirittura facendosi lasciare il cibo davanti la porta della propria camera, pur di non uscire. L'unico contatto col mondo avviene tramite il web.

Come si può guarire dalla sindrome di Hikikomori? «Con le famiglie – prosegue la psichiatra così come riportato da L'Occhio – stiamo portando avanti un programma perché una soluzione è ovviamente quella di coinvolgere maggiormente i genitori. Oppure si potrebbe utilizzare anche un amico del giovane, che magari riesca a sbloccarlo.

Sono percorsi che possono durare anche anni. Fondamentale ovviamente è la prevenzione». La psichiatra insiste sulla presenza dei genitori nella vita dei propri figli, seppur senza esagerazioni, invitandoli a coltivare interessi, a fare sport, a stare con gli altri, a non confrontarsi con standard troppo alti.