L'alcol è diffuso in tutto il mondo nelle bevande più comuni, come vino, birra e distillati e le bevande alcoliche sono usate anche come componenti di molte ricette. Chi non ha mai spruzzato del vino rosso per sfumare un risotto o soffritto con la birra? E spesso abbiamo marinato del pollo con il rum o usato distillati fortissimi per "accendere" una crema catalana o una banana flambè. La temperatura d'ebollizione dell'alcol etilico, o etanolo, è di 78 °C, di molto inferiore a quella dell’acqua che bolle a 100°C. Quindi erroneamente si è portati a pensare che cuocendo a temperature maggiori di 78°C l'alcol tenda ad evaporare nella sua totalità.

In effetti il processo di distillazione si basa proprio sul principio che l'alcol venga eliminato con il vapore, il quale viene raccolto da un sistema di alambicchi, mentre la sua concentrazione nel liquido si abbassa di molto. Se assaggiamo il liquido o la pietanza dov'era stato aggiunto l'alcol non ne percepiamo più le tracce ma non è detto che non ci siano.

Perchè è importante sapere quanto alcol c'è nel cibo

E' necessario stimare l'alcol residuo in una ricetta, prima di tutto perché ha un contenuto calorico di 7 kcal per grammo, circa il doppio degli zuccheri, e quindi bisogna regolarlo per controllare le calorie assunte. Inoltre molte persone non lo tollerano, sia per motivi di salute, di lavoro o religiosi, sia perché può interagire con farmaci.

Sono stati effettuate alcune misurazioni sul residuo alcolico: è stato fatto bollire per 5 minuti del vin brulé per 5 minuti e si è registrato un passaggio del tasso alcolico dal 14%/ vol al 5%/vol ma non è stata mai effettuata una misurazione in larga scala quando l'alcolico è utilizzato come ingrediente in preparazioni più complesse.

Alcuni ricercatori del Ministero dell’agricoltura americano, hanno analizzato ben 25 anni fa il residuo alcolico nella preparazione di 6 ricette diverse che includevano vino o alcolici. Le ricette erano una salsa al Grand Marnier, delle ciliegie flambé e della carne brasata per oltre 2 ore a 85 °C. I ricercatori hanno osservato che l'alcol trattenuto dopo la cottura, variava dal 4% del brasato di manzo all’85% della salsa al Grand Marnier: in quest'ultimo caso l’alcol era stato aggiunto durante l'ebollizione e la fiamma era stata spenta subito dopo.

Ostriche gratinate al forno per 25 minuti hanno conservato il 40-50% dell’alcol iniziale. Nel caso dei flambè invece, in cui l'alcol viene "incendiato" per l'effetto scenografico, la fiamma perdura finché i vapori alcolici sono elevatissimi, ma quando si spegne lascia fino al 77% di alcol incombusto nel cibo.

Una nuova ricerca danese

Recentemente una ricerca simile è stata condotta da ricercatori danesi, che hanno studiato la dose di alcol che rimane in 10 ricette a base di birra, che sono molto comuni in Danimarca, e riscontrando dei dati confrontabili con quelli americani. Anche con la birra rimangono percentuali di alcol dopo la cottura: hanno riscontrato una concentrazione finale da 0% al 2,5%.

Le ricette controllate sono state quelle del porridge, preparato con pane di segale a bagno nella birra, della zuppa di carote, delle costine di maiale marinate, che hanno la più bassa concentrazione, e della carne di manzo brasata per tre ore nella birra ma anche nel vino. Hanno scoperto che l'alcol evapora in modi differenti a seconda dal tempo di cottura, dimensioni delle padelle o pentole, dalla presenza di pane tra gli ingredienti, che rallenta l'evaporazione dell'alcol, mentre usando un coperchio da appoggiare sulla padella la concentrazione di alcol è inferiore.