Esiste un collegamento tra infiammazione e infarto? Come mai molti infartuati hanno livelli normale di colesterolo? Come mai nei pazienti in terapia antinfiammatoria l’incidenza di eventi infartuali è più bassa? A queste e altre domande simili, cardiologi e tanti ricercatori, per decenni, hanno cercato di dare una risposta convincente. Un passo avanti si è ora fatto studiando gli effetti di un anticorpo monoclonale anti interleuchina 1β, Canakinumab, un antinfiammatorio ampiamente usato nelle malattie infiammatorie autoimmuni come l'artrite reumatoide.

Processi infiammatori a carico delle arterie

Sappiamo quali sono le conseguenze (arteriosclerosi, infarto, ictus, ecc.) di un’arteria ostruita a causa della formazione di un trombo dovuto a livelli elevati di LDL, ma cosa si rischia se un’arteria si infiamma? I clinici sanno che livelli elevati di biomarcatori dell’infiammazione, come la proteina C-reattiva, aumentano il rischio cardiovascolare. Una terapia antinfiammatoria potrebbe limitare questi rischi.

Inoltre, la metà degli infarti si manifesta in soggetti che hanno una colesterolemia non eccessivamente elevata. Anzi, metà di questi pazienti sono già in terapia con le statine – farmaci prescritti per abbassare i livelli di colesterolo. Allora il colesterolo non è (l’unico) responsabile dell’infarto.

Dei ricercatori del Brigham and Women's Hospital di Boston hanno condotto un importante studio clinico, chiamato CANTOS (Canakinumab Anti-inflammatory Thrombosis Outcomes Study). In questo studio, durato 4 anni e sponsorizzato da Novartis, sono stati arruolati oltre 10mila pazienti con alle spalle un episodio di infarto al miocardio e una infiammazione in corso.

Infiammazione accertata dai livelli elevati di Proteina C-Reattiva (PCR) nel sangue, più di 2mg/litro - proteina che aumenta enormemente nei processi infiammatori acuti, patologie o condizioni post-traumatici (intervento chirurgico). A questi pazienti è stato somministrato un potente antinfiammatorio, il canakinumab.

I risultati sono stati descritti in un lavoro pubblicato a fine agosto su New England Journal of Medicine e presentati a Madrid, al Congresso Europeo di Cardiologia (ESC 2017).

L’anticorpo monoclonale anti interleuchina 1β, canakinumab, è stato somministrato sottocute ogni tre mesi, a tre differenti dosaggi, 50, 150 e 300 mg, verso un gruppo placebo.

Risultati inattesi

Obiettivo dello studio era valutare il numero dei casi di infarto, ictus ed eventi cardiovascolari fatali. Dopo 4 anni i tre gruppi, trattati a dosaggi differenti, hanno fatto registrare mediamente una riduzione del 15% del rischio cardiovascolare (infarto, ictus, ecc.) e del 30% della necessità di impiantare dei by-pass. Nessun effetto era stato evidenziato sul fronte colesterolemia. Rispetto al gruppo placebo, nei gruppi trattati con 50, 150 e 300 mg di anticorpo, la PCR era ridotta rispettivamente del 26, 37 e 41%.

Sul fronte cardiovascolare, ogni 100 persone gli eventi registrati nei 4 anni, sempre nei tre gruppi come sopra, sono stati 4,11, 3,86 e 3,90 rispetto a 4,50 del gruppo placebo. In pratica, i risultati migliori si sono ottenuti con il dosaggio intermedio (150 mg). Risultati importanti e rivoluzionari se pensiamo che sono stati raggiunti senza seguire diete particolari, impegnarsi in attività sportive, rinunciare al fumo o ridurre il colesterolo. Ma, a fianco a questi dati, ci sono stati alcuni risultati inattesi.

Come evento negativo inatteso è stato registrato un aumento di rischio di morte per infezione (1 su 1000). Come evento positivo e del tutto inatteso, i gruppi trattati con canakinumab hanno visto dimezzare il rischio di morte per tumore, per tutti i tipi di tumori, e del 75% dei tumori al polmone.

In conclusione, questa ricerca ha dimostrato che una condizione di infiammazione generale gioca un ruolo importante nell’incidenza di eventi cardiovascolari e di incidenza di tumori, in particolare quelli al polmone. E che la somministrazione di 150 mg di canakinumab, sottocute ogni tre mesi, può essere molto efficace a prevenire ricadute di eventi cardiovascolari, anche nefasti, oltre che essere una eccellente forma di prevenzione dei tumori in generale e, ancora più evidente, di quelle al polmone. Si tratta di una scoperta veramente importante che porterà ad adottare innovativi approcci nei protocolli della prevenzione.