E' vero la medicina ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni. Il virus dell'hiv se non sconfitto e debellato può essere in qualche modo controllato. Esiste infatti una profilassi pre-esposizione (PrEP) che permette di evitare il contagio nelle persone a rischio, oppure, quand'anche l'infezione ormai fosse in atto, l'assunzione di alcuni farmaci permette di azzerare la carica virale, al punto da garantire una discreta aspettativa di vita e ridurre la possibilità di contagiare altri soggetti. Siamo inoltre abituati a pensare che l'HIV possa rappresentare un vero problema solo in quei Paesi in via di sviluppo dove ignoranza e povertà la fanno da padrone.

Infine le nuove generazioni non hanno affatto la percezione di questo pericolo, che rimanda a scenari apocalittici di inizi anni 80'. Tutto ciò in qualche modo ci ha fatto abbassare la guardia: con quali conseguenze?

HIV: gli ultimi dati OMS

Il numero di persone con una nuova diagnosi di HIV ha raggiunto in Europa il livello più alto nel 2016, dimostrando che l'epidemia sta crescendo ad un ritmo allarmante. Lo scorso anno ben 160.000 nuove persone hanno contratto il virus che provoca l'AIDS, nei 53 paesi che costituiscono la regione europea dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questo è quanto emerge dal recente rapporto che l'agenzia ha rilasciato congiuntamente al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La stragrande maggioranza delle nuove infezioni, circa l'80%, sono state registrate nell'Europa orientale. A detta dei funzionari OMS la cosa preoccupante è che molti dei pazienti hanno trasportato il virus per diversi anni prima della diagnosi, rendendo più difficile il trattamento dell'infezione ed allargando la possibilità di trasmissione ad altre persone.

"Testare le persone in ritardo, in particolare quelli a più alto rischio di infezione, si traduce in un trattamento tardivo e contribuisce ulteriormente alla diffusione dell'HIV. Le persone più tardi hanno una diagnosi, più probabilmente svilupperanno l'AIDS, portando così a maggiore sofferenza e morte ", ha detto in una dichiarazione il direttore regionale europeo dell'OMS, Zsuzsanna Jakab.

Il rapporto dell'OMS/ECDC ha rilevato che il tasso di infezioni da HIV di nuova diagnosi nella regione europea è aumentato del 53% nell'ultimo decennio.

37 milioni di persone nel mondo hanno l'HIV: discriminazioni e stigmi da superare

Quasi 37 milioni di persone in tutto il mondo hanno il virus dell'immunodeficienza umana che causa l'AIDS. La maggior parte dei casi si trova nella regione più povera dell'Africa, tuttavia l'epidemia si è dimostrata resiliente anche nelle regioni più ricche d'Europa. In Italia ad esempio sono presenti circa 130.000 sieropositivi, con 4.000 nuovi casi l'anno e forse 20.000 o più che non sanno di essere positivi all'HIV. Secondo una recente testimonianza dell'ECDC, sia in Europa che in Asia centrale persiste lo stigma e la discriminazione nei confronti dei soggetti a rischio costituendo un ostacolo alla ricezione dei servizi di prevenzione e all'accesso al test dell'HIV, che oggi, lo ricordiamo può essere acquistato anche in farmacia."Oltre la metà dei paesi dichiaranti afferma che lo stigma e la discriminazione all'interno della popolazione-chiave sono una barriera all'adozione di servizi di prevenzione per uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, persone che fanno uso di droghe, prostitute e detenuti".

Tali pregiudizi e stigmi sono presenti persino tra i professionisti della Salute, rappresentando un ulteriore ostacolo nei soggetti a rischio che preferiscono, per questo, non affrontare il problema. Eppure quel semplice test può salvarci la vita. L'HIV non è più una condanna a morte ed è equiparabile, con le giuste cure effettuate per tempo, ad altre malattie che hanno un decorso a lungo termine. Il rapporto dell'ECDC auspica lo sviluppo e l'attuazione di strategie più efficaci per ridurre la discriminazione e la stigmatizzazione nei confronti delle popolazioni colpite, specie tra gli operatori sanitari, e aumentare la collaborazione con le organizzazioni comunitarie per superare tale problematica anche all'interno dei gruppi-chiave.