Il 4 febbraio si è celebrata la quarantesima Giornata Nazionale Per La Vita, al fine di diffondere il senso pieno della vita di ogni individuo, che mai deve essere sprecata o immaginata come indegna di essere praticata in ogni sua essenza, forma e pensiero. Tra le tante iniziative, va riportato un convegno di spicco sui disordini della coscienza, organizzato dall'Istituto Neurologico Carlo Besta (Regione Lombardia), in cui si è parlato dei modi più all'avanguardia per testare e valutare il sistema nervoso di individui apparentemente non più consapevoli, come soggetti in coma e in stato vegetativo.

L'intervento della dottoressa Silvia Marino, neurologa e ricercatrice di Messina, ha messo in luce l'importanza di dare più umanità al lavoro fatto con queste persone, per permettere loro di avere il miglior trattamento riabilitativo possibile. Per la dottoressa non c'è stato di irreversibilità che tenga: da anni, con pazienza, stimola cervelli apparentemente privi di coscienza, per studiare ogni possibile loro reazione.

Durante l'ascolto della voce della persona amata, del brano musicale preferito o della lettura del libro del cuore, viene misurata l'attività elettrica cerebrale dell'individuo, attraverso una cuffia di elettrodi. In alcuni casi è evidente un accendersi nel cervello di aree legate alla percezione e alla sfera emotiva.

Questo potrebbe essere una prova che dimostra che non tutti i soggetti in coma e in stato vegetativo siano completamente scollegati dalla realtà circostante.

Coma: spiegazione ed evoluzione

Il coma è una condizione di incoscienza: l'individuo è come se si trovasse in una stanza dalle pareti scure e insonorizzate, ignaro di tutto quello che vi è all'esterno.

Infatti non riesce a reagire a nulla, a nessuno stimolo (nemmeno alla puntura di un ago conficcato nel braccio), al cambiamento di luce e a nessun suono in particolare (nemmeno ad un fastidiosissimo clacson).

La causa principale del coma può essere spiegata da un trauma cranico, come pressione esterna che si ripercuote all'interno della scatola cranica (trauma cranico chiuso) o come rottura delle ossa craniche e lesione dei tessuti (trauma cranico aperto).

La perdita di coscienza legata al coma può evolversi fino a portare al risveglio (se il quadro clinico non risulta estremamente compromettente) oppure può tramutarsi in uno stato vegetativo persistente o in una Sindrome Locked-In. Nello stato vegetativo persistente, il soggetto parrebbe sveglio e reattivo, dato che apre e chiude gli occhi, attua movimenti oculari, ha una regolare attività cardiaca e respiratoria e mostra riflessi complessi (come sbadigliare, deglutire, masticare).

Tuttavia non vi è un suo effettivo coinvolgimento in ciò che accade nell'ambiente circostante: l'attività cerebrale registrata in questi soggetti può essere normale o rallentata. La Sindrome Locked-In riguarda una condizione per la quale il paziente è effettivamente cosciente, ma può comunicare con il mondo esterno soltanto con i movimenti oculari, in quanto è presente quadriplegia (paralisi di braccia e gambe) e anartria (incapacità di parlare con conservazione della capacità di comprensione del linguaggio).

Comunicare con una persona in stato vegetativo

Un professionista interessato ai cervelli privi di coscienza è Adrian Owen, neuroscienziato dell'Università di Cambridge. Il suo lavoro più noto risale al 2010, quando si è occupato di un giovane paziente, il caso del paziente 23, un ragazzo di 24 anni in stato vegetativo da 5 anni, a causa di un incidente automobilistico.

Il Dottor Owen e i suoi collaboratori decisero, con il consenso dei suoi familiari, di inserirlo in un macchinario per la risonanza magnetica, per potergli porre alcune domande sulla sua vita e valutare le risposte ottenute dal suo cervello.

Con molta enfasi e incredulità, a seguito delle domande, i ricercatori ottennero effettive risposte dal giovane, tramite cambiamenti del flusso sanguigno registrati in alcune aree del cervello: le risposte date combaciavano perfettamente con quelle fornite dai familiari (ad esempio, nell'identificare gradi di parentela o gusti personali).

Dunque il paziente riuscì nell'impresa di comunicare con loro. Ma in che modo ciò è stato possibile? A tal proposito, è doveroso citare un caso che risale al giugno 2006. Ad una giovane donna di 23 anni, in stato vegetativo, durante una scansione cerebrale effettuata tramite risonanza magnetica funzionale, fu chiesto di rispondere ad alcune domande, immaginando di giocare a tennis (per rispondere sì) o di camminare a piedi tra le mura della sua abitazione (per rispondere no).

La ragazza, in questo stato da 5 mesi per colpa di un incidente stradale, mostrò modelli di attivazione cerebrale simili a quelli evidenziati in soggetti sani e coscienti: attivazione della corteccia motoria supplementare (attivata durante l'immaginazione del movimento prodotto in una partita di tennis) e del giro paraippocampale (attivato durante l'immaginare la navigazione spaziale nel proprio ambiente domestico).

Sempre tenendo conto dei dati precedentemente forniti dalla famiglia, la giovane rispose in modo congruo a cinque delle sei domande poste (per l'ultima non fu rivelato segnale alcuno), anche se mantenne un focus attentivo per circa 30 secondi, portando il ricercatore a ripetere più volte una stessa domanda (David Cyranoski, 2012).

Le ricerche e gli studi condotti dal Dottor Owen non sono esenti da critiche. Daniel Greenberg, psicologo dell’Università della California, ha suggerito che l’attività cerebrale, in questi casi, viene innescata dalle istruzioni date e dal ripetere costantemente il verbo immaginare.

Altri ricercatori parlano di riflesso istintivo involontario registrato e non di un vero e proprio segno di coscienza.

Parashkev Nachev, neuroscienziato clinico dell’Imperial College di Londra, crede che occorra prestare più attenzione alle abilità cognitive delle persone in stato vegetativo, dato che anche quelle con crisi epilettiche mostrano limitate capacità di risposta, pur senza esserne davvero coscienti.

Conseguenze e dubbi etici

Nonostante le critiche ricevute, il lavoro di Adrian Owen assume una notevole importanza e un possibile grande campo di applicazione, nell'ambito clinico e di ricerca. Non si tratta di una rivelazione per permettere alle persone di uscire dal coma o dal loro stato vegetativo e di ritrovare la consapevolezza perduta, però tale tecnica può essere utilizzata dai familiari per comunicare con il proprio caro e dai medici per indagare più a fondo lo stato del paziente.

Tale discorso, ovviamente, non può escludere un punto interrogativo di stampo etico, legato ad una possibile decisione degli stessi pazienti di interrompere le cure che li tengono immobilizzati a letto e legati a quello stato di inattività. Ovviamente non tutti i pazienti in stato vegetativo possono comunicare attraverso questo sistema e tali studi dovranno essere ripetuti ancora e ancora, in differenti condizioni e ambienti di ricerca, al fine di dimostrare l'effettiva capacità di alcuni di questi individui di intendere e di volere e di decidere per la propria sorte.

Quindi questo studio è risultato importante per il suo aver posto l'accento sulla funzionalità di quelle aree che non risultano spente del tutto, in una persona posta in apparente stato di incoscienza, che potrebbe poter ancora comunicare con il mondo circostante.