In Italia parlare di psicofarmaci è ancora un tabù. Persiste nell’immaginario comune che queste medicine siano il diavolo, che è sempre meglio non prenderle. Questa visione distorta comporta un risvolto positivo, ma anche uno negativo. Se da un lato, infatti, si attua un controllo più severo circa la prescrizione degli psicofarmaci, dall’altro si corre il rischio che queste medicine non siano date a chi ne avrebbe bisogno. Negli Stati Uniti, invece, accade tutto l’opposto: i farmaci sembrano che vengano distribuiti come se fossero caramelle. Questo scenario trova conferma specialmente se si parla del disturbo da deficit di attenzione/iperattività (adhd).
Che cos’è l’ADHD?
L’ADHD è un disturbo del comportamento che ha una grande incidenza nei bambini e nei ragazzi, sebbene si possa riscontrare anche negli adulti, dal momento che nel 60% dei casi i sintomi sembrano persistere anche nell’età adulta. Effettuare una diagnosi di questo genere non è sempre facile, soprattutto perché i sintomi dell’ADHD possono essere confusi con l’indole del bambino, descritto come scalmanato, invece che come affetto da un disturbo. Per diagnosticare il disturbo da deficit di attenzione/iperattività ad una persona, questa deve presentare per almeno sei mesi più di sei sintomi di iperattività e più di sei sintomi di disattenzione. I bambini affetti da ADHD, solitamente, agiscono senza pensare, si comportano in modo agitato, hanno difficoltà a portare a termine un compito e possono mostrare anche un comportamento aggressivo.
Per trattare questo disturbo si può ricorrere sia alla terapia psicologica sia alla somministrazione di metilfenidato, commercializzato sotto il nome di Ritalin. Siccome questo farmaco è un agonista della dopamina, si ipotizza che l’ADHD sia causato dall’ipoattività della trasmissione dopaminergica in specifiche regioni del cervello.
In particolare, sembra siano coinvolti lo striato e la corteccia prefrontale. Il coinvolgimento di quest’ultima è significativo, dal momento che la corteccia prefrontale ha un ruolo importante nella memoria a breve termine: utilizza la memoria di lavoro per guidare pensieri e comportamenti, regolare l’attenzione etc.
Il Ritalin tra tabù ed eccesso
Alcuni considerano l’ADHD come un’invenzione, come una scusa per somministrare farmaci ai più piccoli. I dati scientifici, però, confutano questa opinione e invitano a non sottovalutare questo disturbo. Se non diagnosticato o mal curato, infatti, l’ADHD può avere dei risvolti seri con l’avanzare nell’età che comprendono disturbi affettivi, comportamenti asociali, difficoltà nei rapporti lavorativi e personali, specie con il partner. Un trattamento, allora, è essenziale. Ma perché si guarda al Ritalin con tanta preoccupazione? Probabilmente perché, a differenza degli altri psicofarmaci, i target principali sono i bambini. L’immagine popolare del farmaco stesso, poi, non aiuta: è visto come una droga che la gente usa per migliorare le proprie prestazioni scolastiche o lavorative.
In Italia addirittura era stato tolto dal commercio.
Certo, avere qualche remora o accortezza verso dei farmaci prescritti per i bambini è giusto, ma non bisogna esagerare. Il problema non è il medicinale in sé, ma il modo in cui si prescrive. In America, infatti, il Ritalin viene prescritto fin troppo facilmente, sembra che basti nominare il disturbo et voilà. Questo comportamento eccessivo, naturalmente, diventa alla fine controproducente, perché favorisce il possibile abuso di questa sostanza. In Italia, invece, il processo è molto più lungo e complesso, forse pure troppo. Gli adulti, ad esempio, possono beneficiare della cura solo se la diagnosi è stata già effettuata quando erano bambini.
Questo comporta un serio problema, dal momento che i sintomi dell’ADHD hanno alte probabilità di persistere in età adulta e che nelle generazioni precedenti era rarissimo fare diagnosi di questo tipo. Per accentuare ancora di più la differenza tra USA e Italia, basta guardare le statistiche. In America più del 10% dei bambini o ragazzi assume il Ritalin, mentre in Italia le diagnosi di AHDH si aggirano tra lo 0,5% e il 4%, considerando poi che solo ad una piccola parte di queste persone viene prescritto il farmaco.
In Italia, di fatto, sembra che si preferisca la psicoterapia e questo non può che essere un dato positivo. Di sbagliato, però, resta l’atteggiamento di “paura” verso gli psicofarmaci.
Non tutte le malattie mentali sono un'invenzione delle case farmaceutiche e i farmaci devono essere poter presi, quando ce n'è davvero bisogno. Un controllo è giusto, specie se si parla di bambini, ma reagire all’eccesso americano con politiche rigidissime non è certamente una soluzione adeguata.